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Conoscere il sesso del nascituro nel primo trimestre grazie a test su sangue materno

 Sarà possibile conoscere il sesso del nascituro già nelle prime settimane di vita grazie ad una analisi del sangue. Un protocollo simile era già stato presentato lo scorso agosto da una ricerca statunitense in materia. Ora sono i coreani a rincarare la dose, attraverso uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Seul e pubblicata sulla rivista di settore Faseb Journal.

Si tratta anche in questo caso di un test non invasivo da effettuare sul sangue della madre già nel corso del primo trimestre della gravidanza.  L’analisi è in grado di rilevare le piccole quantità di dna fetale libero che passano all’interno del circolo ematico della gestante e che consente di identificare particolari tipologie di molecole. Si tratta di una tecnica di “amplificazione” del dna.

Gli scienziati coreani, guidati dal dott. Hyun Mee Ryu, si è focalizzata in particolare su due sequenze del Dna, la DYS14 (specifica del cromosoma Y maschile ) e la GAPDH (codificante un enzima). La loro ricerca si è basata su 203 donne in gravidanza ed ha dimostrato come i diversi rapporti tra le due molecole possono predire il sesso del nascituro. In questo caso, rispetto alla passata ricerca statunitense, abbiamo un miglioramento delle percentuali di attendibilità: qui si parla del 100%, la totalità del campione analizzato.

Come spiega lo scienziato:

Di solito la determinazione precoce del sesso fetale richiede procedure invasive come il prelievo dei villi coriali o l’amniocentesi. Entrambe queste tecniche possono comportare un rischio di aborto dell’1-2 per cento. L’ecografia è più sicura, ma non può essere praticata, nel primo trimestre, perché lo sviluppo dei genitali esterni del feto non è completo, e può quindi portare a falsi risultati.

Questa ricerca non solo dà modo di appagare una curiosità particolare come quella relativa al sesso del nascituro ma da modo di verificare la presenza di importanti malattie legate al cromosoma X, una tra tutte l’emofilia. Di contro può rappresentare un arma per “aborti mirati” in alcune culture. Sebbene il test non sia ancora disponibile su larga scala, si tratta di una problematica sulla quale riflettere.

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Fonte: Faseb Journal