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Prostata, laser verde per una chirurgia meno invasiva

La prostata è uno degli organi interni che più crea problemi all’uomo, specialmente con il suo avvicinarsi alla terza età: ipertrofia (ingrandimento, n.d.r), infiammazione, in alcuni casi tumori (come nel caso del regista Mario Monicelli recentemente scomparso, n.d.r.), mettono a dura prova la vita della persona che si trova costretta talvolta, per patologie pregresse, a non poter intervenire chirurgicamente in caso di ipertrofia.

Ora grazie a Greenlight, conosciuto più tradizionalmente come il laser verde, è possibili operare in tutta sicurezza e con meno fastidi e disagi per il paziente.

In realtà questa tecnica viene usata in chirurgia fin dal 2003, ma è sempre stata impiegata come soluzione alternativa ed in casi specifici. Con il passare degli anni e con il progredire dei macchinari anche questa tecnologia si è affinata, rendendo possibile un suo utilizzo continuativo.

Con la normale chirurgia prostatica, tra tempi di intervento e ripresa, la degenza ospedaliera minima richiesta è pari a 4 giorni, senza contare poi le papabili complicanze che possono palesarsi a seconda dell’invasività dell’operazione. Con questa nuova metodologia, il tempo di permanenza in in ospedale scende sotto la soglia delle 24ore: il paziente può venire dimesso già dal mattino successivo all’intervento.

Tutto ciò è possibile perché il laser è in grado di vaporizzare il tessuto prostatico cresciuto di volume, eliminando così il problema e ristabilendo il corretto flusso urinario del paziente, che avrà bisogno del catetere per sole 12 ore.

Ascoltiamo il parere dei Professori Lucio Milano e Andrea Tubaro, direttori della divisione universitaria di Urologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma, prima struttura nel Lazio ad avvalersi di questa metodologia. Il Professore Lucio Milano spiega:

La vaporizzazione della prostata con il “laser verde” è una procedura praticamente esangue riduce notevolmente il rischio chirurgico per tutti i pazienti ed in particolare per quelli cardiopatici, azzera il rischio di trasfusioni ematiche, consente di eseguire il trattamento nei pazienti in terapia con farmaci antiaggreganti (Aspirina o Plavix) o anticoagulanti senza dover sospendere questi farmaci.

Ad una tecnica meno invasiva comportante meno degenza non corrispondono solamente vantaggi per il paziente, ma anche per la struttura sanitaria, che con il dimezzamento dei tempi di ricovero, abbatte anche i costi, come sottolinea il professore Andrea Tubaro.

Il valore di questa metodologia chirurgica è importante dal punto di vista sociale: per il paziente significa una riduzione del numero di giorni di lavoro persi, per l’azienda una maggiore produttività e per la struttura ospedaliera una migliore gestione dei posti letto e costi ospedalieri decisamente ridotti.