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Riportare in vita un cervello morto?

E’ una ricerca shock quella che ha avuto il via libera negli Stati Uniti nelle ultime ore. Si vuole tentare di riportare in vita i morti, o meglio il loro cervello. Nessun risultato è ovviamente garantito dagli scienziati: ciò non toglie che il semplice annuncio abbia creato un certo stupore in campo bioetico.

Lo scopo dei ricercatori del progetto Re-Anima, organizzato della Bioquark di Philadelphia è rappresentato non solo dal traguardo al momento impossibile di far “resuscitare” un cervello umano ma di studiare lo stesso e la sua sottomissione a protocolli medici specifici al fine di sfruttare le conoscenze ottenute per approcciare malattie neurologiche importanti come l’Alzheimer ed il Parkinson. L’Institutional Review Board del National Institutes of Health statunitense ha dato il suo via libera, seguito da quello delle autorità indiane: i “pazienti” saranno infatti sottoposti al trattamento presso l’Anupam Hospital a Rudrapur.

Il processo al quale le persone clinicamente morte saranno sottoposte segue un iter ben preciso. Prima di tutto verranno mantenute in vita artificialmente in modo tale da assicurare una corretta ossigenazione dei tessuti. Le stesse saranno poi sottoposte ad un mix di trattamenti tra i quali la rigenerazione del cervello attraverso l’inoculazione di peptidi e l’iniezione di cellule staminali.

I 20 pazienti, parte della sperimentazione iniziale, subiranno delle iniezioni di peptidi nel midollo spinale attraverso un’infusione giornaliera, mentre le cellule staminali saranno iniettate ogni due settimane per sei settimane.  Ciò che si spera di notare sono dei segni di rigenerazione nel midollo spinale superiore nella regione più bassa del tronco celebrale, ovvero quella che controlla la respirazione e il battito cardiaco. Sebbene sul lungo termine uno degli obiettivi sia proprio quello della ripresa totale dei pazienti, il primo traguardo che gli scienziati intendono raggiungere è quello di una maggiore conoscenza dello stato di morte cerebrale e se vi siano possibilità di agire su quei disturbi della coscienza attualmente incurabili.

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