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Cervello e videogames: cosa succede?

 Videogames e cervello: un rapporto da sempre oggetto di curiosità e domande. Come agiranno gli uni sull’altro? Quelli violenti influiscono sul comportamento di chi li usa?  Possono apportare dei danni al cervello in seguito ad un uso sconsiderato? Non allarmatevi, ma sembra che qualche cambiamento all’encefalo lo apportino sul serio, anche se i tempi ancora non son maturi per capire quanto possano essere deleteri.

Partiamo da ciò che si sa: dopo 10 ore di videogiochi violenti giocate in un arco di una settimana, il cervello fa fatica a tenere sotto controllo i comportamenti violenti. O meglio, l’area cerebrale adibita al controllo dei comportamenti aggressivi diminuisce la sua attività. Lo ha dimostrato uno studio recentemente condotto dall’ Università di Indianapolis attraverso la risonanza magnetica funzionale. Il campione di riferimento era formato da volontari di età compresa tra i 18 ed i 29 anni che hanno giocato per una settimana un totale di 10 ore di videogames violento e se ne sono poi astenuti la settimana successiva.

Confrontati i risultati con un gruppo di controllo che non aveva mai giocato, si è stati in grado di rilevare che in chi aveva giocato l’attività cerebrale veniva modificata, ma anche che con l’astinenza il tutto rientrava man mano in un range di normalità. La preoccupazione derivante si è basata sui tempi: nella realtà “esterna” allo studio, i tempi di gioco sono molto più alti e continuativi.

Ancor più particolare l’esito dello studio condotto dall’università di Amsterdam in collaborazione con quella di New York e pubblicata su Science. Essa ha infatti scoperto, attraverso una risonanza magnetica biochimica, come i videogiochi violenti (ma anche clip dello stesso tipo, n.d.r.) siano in grado di riconfigurare i neuroni , programmando l’aumento di quelli pronti ad affrontare situazioni di pericolo simili a quelle delle clip ed mettendo in correlazione i centri cerebrali superiori ed inferiori aumentando il sistema di “vigilanza” del nostro encefalo, portando l’aumento di quei neurotrasmettitori relativi all’aumento dello stress.

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Fonte: Corriere della Sera