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Anoressia nervosa restrittiva, la visione distorta del proprio corpo nasce nel cervello

 Non certo meno grave dell’obesità è l’altra piaga che riguarda il peso e che contagia sempre più adolescenti come un virus, negli ultimi anni anche molti uomini: l’anoressia. Se n’è discusso molto nelle ultime settimane dopo la morte di Isabelle Caro ed il suicidio della madre.

Torniamo a parlarne perché un recente studio tutto italiano offre un nuovo barlume di speranza, facendo luce sui meccanismi cerebrali che portano le giovani pazienti affette da anoressia a vedersi sovrappeso, e dunque a smettere di alimentarsi o a sottoalimentarsi anche quando si è evidentemente denutriti.
A coordinare la ricerca, pubblicata sull’autorevole rivista di divulgazione scientifica Neuroimaging, il dottor Santino Gaudio, medico psichiatra attivo in progetti di ricerca in diversi importanti ospedali italiani.

In chi è colpita da anoressia nervosa restrittiva le aree del cervello coinvolte nella rappresentazione mentale di sé presentano una vulnerabilità specifica che porta ad avere una visione distorta del proprio corpo.
Si tratta della prima analisi della sostanza grigia su adolescenti che hanno sviluppato questo tipo di anoressia che utilizza la Voxel Based Morphometry, come viene spiegato in una nota.

Nello studio sono state coinvolte e messe a confronto 16 adolescenti, affette da anoressia nervosa da meno di un anno, e 16 ragazze sane ovvero non affette da alcun genere di disturbo alimentare. Utilizzando la risonanza magnetica ed il nuovo metodo, la sopra citata Voxel Based Morphometry, si sono annotate le differenze cerebrali, scoprendo che nell’area coinvolta nella manipolazione delle immagini mentali, le pazienti anoressiche avevano meno sostanza grigia rispetto alle coetanee sane.

Tali risultati evidenziano una base neurobiologica per la distorsione dell’immagine corporea che è il sintomo cardine dell’anoressia nervosa. La scoperta dà un nuovo contributo alla comprensione del perché queste pazienti hanno un’immagine distorta del loro corpo ed apre la strada a nuove possibili strategie terapeutiche.

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