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Raschiamento uterino dopo aborto spontaneo, cos’è e come avviene

 Cos’è un raschiamento? Quando avviene un aborto spontaneo, può essere necessario intervenire in qualche modo per prevenire emorragie e/o infezioni. Se stiamo parlando delle primissime fasi della gravidanza, sarà l’organismo stesso ad espellere il tessuto fetale, senza necessità di alcuna pratica medica: è quello che accade la maggior parte delle volte, quando le donne non si accorgono neppure di essere incinte o comunque nel 50% dei casi di aborto spontaneo entro la decima settimana. Quando la gestazione è più avanzata la procedura più comune è appunto il raschiamento;

In cosa consiste il raschiamento dopo un aborto spontaneo?

Il termine raschiamento uterino è di uso comune e sta ad indicare la pratica del D & C, ovvero Dilatazione e Curettage: una tecnica chirurgica che consiste nella Dilatazione della cervice uterina per procedere al Curettage, ovvero alla “raschiatura” della parete interna dell’utero, con lo scopo di portare via il tessuto rimasto dopo l’aborto spontaneo. Il raschiamento va eseguito solo in strutture sanitarie opportune e ad opera di medici competenti. Si può praticare attraverso uno strumento specifico (la curette per l’appunto) o tramite aspirazione.

Per il raschiamento servono anestesia e ricovero?

Il raschiamento si può eseguire sia in regime ambulatoriale che con ricovero, dipende dai casi individuali, e la scelta spetterà  al medico ginecologo. In genere, un minimo di sedazione viene effettuata: almeno per rilassare la paziente; alcuni ginecologi scelgono anche un’anestesia totale (seppur di pochi minuti); in altri casi può bastare una anestesia paracervicale.

Il raschiamento comporta rischi e complicanze?

Ovviamente come in tutti gli interventi chirurgici, anche nel caso del raschiamento dopo aborto spontaneo è possibile avere dei rischi e delle complicanze: essenzialmente sono riconducibili all’anestesia (reazione avversa ai farmaci ad esempio); emorragia o sanguinamento abbondante; infezione all’interno dell’utero o in altri organi coinvolti; perforazione dell’utero stesso; lacerazione o indebolimento della cervice; cicatrici non visibili, ma comunque fastidiose che possono richiedere la necessità di ulteriori terapie; errore nello svolgimento della procedura e dunque l’esigenza di un nuovo raschiamento.

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