Home » MEDICINA TRADIZIONALE » Cardiologia » Bradicardia, scoperta causa del “cuore d’atleta”

Bradicardia, scoperta causa del “cuore d’atleta”

La riduzione della frequenza cardiaca (bradicardia) negli atleti viene comunemente chiamata “cuore d’atleta”. Uno studio condotto internazionalmente con la collaborazione dei ricercatori della Statale di Milano ci spiega quale è la causa di questa condizione.

Ciò che è stato scoperto dal gruppo internazionale di scienziati e pubblicato sulla rivista di settore Nature Communications ha individuato alla base di questo rallentamento del ritmo cardiaco la modificazione della corrente “funny”, conosciuta nel settore anche come la “corrente del pacemaker”, ovvero quella che genera il ritmo cardiaco e la regolazione della sua frequenza. Lo sport e l’attività fisica in generale, si sa, fanno bene alla salute. Talvolta però, se questa in gioventù eseguita in eccesso, nel corso della vecchiaia può portare allo sviluppo di aritmie. Sapevate che il cuore degli atleti che eseguono attività sportiva di resistenza può scendere fino a 30 battiti/minuto, ed a valori più bassi durante il sonno?

Grazie a questo studio ora si sa che la bradicardia non dipende dall’attività del nervo vago, parte del sistema nervoso parasimpatico ma da un problema di natura elettrica del cuore. Sono i canali ionici “funny” posti sulla membrana delle cellule pacemaker del cuore a dare dei segnali scorretti che si esprimono con il rallentamento del cuore. Gli scienziati per giungere a queste conclusioni hanno condotto una sperimentazione su modello murino dimostrando, mettendo a confronto topo “allenati” e sedentari, che l’attività fisica “rimodella” il cuore alterando diversi canali ionici cardiaci. Queste modifiche sono ben definite ed influenti da giustificare la comparsa del “cuore d’atleta”.

A livello teorico lo studio spiegherebbe a livello molecolare perché gli atleti anziani che hanno dedicato molto tempo a sport aerobico o di resistenza sono più soggetti a sviluppare disturbi del ritmo cardiaco. Un eventuale dimostrazione della validità dello studio su modello animale anche su quello umano porterebbe alla messa in atto di strategie volte a salvaguardare la salute cardiaca di atleti anziani e persone sofferenti di bradicardia.

Fonte | Nature Communications

Photo Credit | Thinkstock