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Cellule staminali per la cura dell’infarto, al via test clinico europeo

La Commissione europea finanzierà il progetto BAMI (Bone Marrow Cells in Acute Mycardial Infarction) per curare l’infarto con le cellule staminali. La sperimentazione coinvolgerà 3mila pazienti provenienti da 11 paesi dell’Unione Europea, compresa l’Italia. Sarà il più grande studio mai effettuato sulle cellule staminali come possibile terapia per curare i pazienti reduci da un attacco di cuore.

Lo scopo del progetto, che non ha visto la partecipazione economica da alcuna casa farmaceutica perché le cellule staminali non si possono brevettare e per cui non ci sono benefici economici, è quello di ridurre di almeno ¼ le morti da infarto e scompenso cardiaco. Le cellule staminali saranno prelevate dal midollo osseo dello stesso paziente e saranno iniettate nel cuore, con la speranza che queste siano in grado di attivare il meccanismo naturale di autoriparazione.

In realtà questo non è il primo test clinico che si fa con le cellule staminali per la riparazione del cuore, tuttavia la sua rilevanza è nella grandezza del campione preso in esame, per cui si spera di raggiungere risultati certi. Come ha spiegato il professor John Martin, dell’University College di Londra che collaborerà al fianco del professor Anthony Mathur, a capo del progetto:

Questo studio clinico metterà insieme medici e scienziati europei per risolvere un problema di fondamentale importanza per tutte le persone. Darà una definitiva risposta sulla questione delle cellule staminali adulte multi-potenziali, che inserite nel loro ambiente naturale possono o meno curare la malattia cardiaca.

Le cellule staminali, è bene ricordarlo, sono cellule immature (che non si sono ancora specializzate), capaci di differenziarsi in diversi tipi di tessuto, sono una sorta di “fabbrica di tessuti”. Il midollo osseo contiene 3 tipi di cellule staminali: ematopoietiche (dalle quali si originano i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine), mesenchimali (la componente stromale del midollo osseo) e endoteliali (dell’endotelio). I risultati della sperimentazione saranno resi noti entro 5 anni.

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