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Infarto: quando l’ansia uccide

Uno studio ora lo conferma: se si è reduci da infarto o si soffre di malattie cardiache è meglio mettere l’ansia da parte se ci si tiene a vivere a lungo. Questa patologia può essere pericolosa già per la dipendenza da farmaci che può causare, se ci si aggiunge il rischio di mortalità per problemi al cuore il quadro peggiora sensibilmente.

Partiamo da un presupposto: l’ansia non è considerabile semplicemente un problema mentale o psicologico. Esso si ripercuote in maniera netta sulla nostra vita, abbassandone la qualità generale e creando purtroppo il giusto ambiente per la comparsa di malattie a carico del nostro organismo. Secondo la ricerca condotta dal Duke University Medical Center, soffrire di ansia e depressione se è affetti da qualsiasi tipologia di problema cardiaco, fa crescere il rischio di incorrere in una morte prematura collegata al cuore. Commenta la prof.ssa Lana Watkins, professoressa in psichiatria e scienze del comportamento e coordinatrice dello studio pubblicato sulla rivista di settore Journal of the American Heart Association:

Molti studi hanno collegato la depressione a un aumentato rischio di morte nei pazienti che hanno avuto un infarto o soffrono di malattie cardiache. Tuttavia, l’ansia non ha ricevuto altrettanta attenzione. E’ giunto il momento di considerare l’ansia importante come la depressione, e di essere esaminata attentamente. Le persone che si preoccupano molto hanno maggiori probabilità di avere difficoltà a dormire e sviluppare, per esempio, la pressione alta.

Per questo motivo il consiglio degli esperti è quello di sottoporsi a screening psicologici ciclici in modo tale da individuare in maniera immediata problemi di ansia o di depressione, al fine di tenere sotto controllo qualsiasi effetto questi stati possano creare sull’organismo. L’auspicio dei ricercatori in materia è inoltre quello che l’ansia divenga un oggetto di maggiore studio per ciò che concerne sue eventuali correlazioni più profonde con le patologie cardiache, tentando di trovare una strada terapeutica che ne consenta il controllo e quindi meno rischi per i pazienti.

Fonte | JAHA

Photo Credit | Thinkstock