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Alzheimer, farmaco sperimentale davvero efficace?

L‘Alzheimer è una malattia degenerativa del sistema nervoso. Ed è attualmente incurabile. Una speranza in tal senso arriva però dagli Stati Uniti e dalla messa a punto di un farmaco sperimentale in grado di riparare le connessioni nervose danneggiate.

Non si è ancora giunti ad un trial clinico, ma i risultati evidenziati nel corso di test sugli animali affetti da Alzheimer sono incoraggianti e potrebbero portare con il tempo e ulteriore lavoro sul medicinale, ad una terapia innovativa anche per l’uomo. Lo studio correlato al farmaco e coordinato dal professore Stuart Lipton, professore e direttore del E. Webb Center for Neuroscience, Aging and Stem Cell Research è stato pubblicato sulla rivista di settore Pnas, Proceedings of National Academy of Sciences. A breve gli scienziati passeranno alla sperimentazione umana.

La prima fase di questo studio sull’Alzheimer è durata dieci anni e secondo il ricercatore ed i suoi colleghi la nitromemantina, mix tra due molecole approvate dalla Fda per la cura di patologie di  tipo cardiaco e influenzale, potrebbe davvero rappresentare una rivoluzione in ambito medico, perché in grado di ripristinare le connessione nervose interrotte anche in caso di presenza di placche- beta amiloidi. Commenta il dott. Lipton:

Questo nuovo bersaglio individuato per trattare il morbo di Alzheimer, piuttosto che agire sulle placche beta-amiloidi e i grovigli neuro-fibrillari, approcci che hanno dimostrato scarso successo è molto emozionante, perché va contro il filone di ricerca che mirava a un trattamento precoce della malattia. I risultati che abbiamo ottenuto evidenziano che si può intervenire non solo all’inizio, ma anche un poco più tardi. E questo significa che nel malato di Alzheimer si potranno “ristrutturare” le connessioni sinaptiche anche se il cervello ha già placche e grovigli.

La ricerca medica è da tempo impegnata nella scoperta di un approccio valido contro questa malattia. Forse questa volta è la volta buona? Non ci resta che attendere i risultati dei test clinici sull’uomo.

Fonte | PNAS

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