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Dolore: foto del cervello mostrano la sofferenza

Il nostro cervello è in grado di mostrare quanto dolore stiamo provando. Basta “fotografarlo” con gli strumenti che la medicina mette a disposizione, come la risonanza magnetica funzionale, per renderci conto visivamente della sua forza.

Se ne sono accorti gli scienziati dell’Università del Colorado di Boulder nel corso di uno studio pubblicato recentemente sulla rivista di settore New England Journal of Medicine. E’ sufficiente osservare le immagini del cervello, secondo i ricercatori, per comprendere quanto dolore una persona stia provando. Inutile dire che questa scoperta potrebbe portare ad interessanti applicazioni mediche di questo metodo. Per verificare ad esempio il comportamento dell’encefalo rispetto a espressioni di tipo psicologico e psichiatrico come la depressione, l’ansia, la rabbia ed altri stati emotivi di questa tipologia.

Si potrebbe partire da questo punto, sostengono gli scienziati statunitensi, per mettere a punto dei metodi migliori per quantificare il dolore nei pazienti ed apportare ove necessario correzioni nella terapia del dolore seguita dagli stessi o più generalmente per una cura. In fin dei conti fino ad oggi, il principale metodo di valutazione del dolore tra paziente e medico è stata una scala dai valori che vanno da 1 a 10. Commenta il coordinatore della ricerca, il professore di Psicologia e Neuroscienze Tor Wager:

Ad oggi non c’è un modo clinicamente accettabile per misurare il dolore e le altre emozioni se non quello di chiedere ai pazienti come si sentono. [In questo modo] abbiamo trovato una manifestazione comune tra i molti sistemi del cervello che è diagnostica di quanto dolore sente una persona sottoposta al calore doloroso.

Lo studio, condotto in collaborazione con l’Università di New York e la John’s Hopkins University ha utilizzato il data-mining e le scansioni celebrali derivanti da risonanza magnetica di 114 soggetti esposti a differenti livelli di calore che andavano dai piacevoli ai dolorosi. Il risultato è stato una vera e propria “firma” del dolore.

Fonte | NEJM

Photo Credit | Thinkstock