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La neuroetica raccontata da Peter Reiner: “Un giorno le sostanze serviranno a farci godere la vita”

Nel periodo in cui i temi morali piu’ scottanti vengono trattati con le pinze dalla politica, dalla scienza e dalla religione, dall’altro i cittadini cominciano a pretendere di dire la loro sulle questioni etiche piu’ personali che riguardano la ricerca scientifica. Organizzati a Roma dalla Fondazione Sigma-Tau presso l’Auditorium Parco della Musica, i Tribunali di bioetica, programmati per i prossimi 9 novembre e 14 dicembre, puntano ad aprire il dibattito e agevolare la richiesta di rendere soggettive alcune decisioni fondamentali: Stefano Rodotà e Stefano Ferracuti stimoleranno, nelle due occasioni di dibattito, le tematiche della sperimentazione umana dei medicinali e della volontarietà o meno di un omicidio premeditato. Al centro della disputa sempre attualissima, la bioetica del terzo millennio: pillole che promettono la felicità e neurochirurgia che sarebbe in grado di alterare le funzioni cerebrali, ma dove si nasconde, in verità, la felicità delle persone? Il cervello è il luogo additato dai piu’, scienziati e non, per andare a ripescare motivazioni, cause ed effetti delle nostre emozioni e degli stati d’animo. Motivo per il quale, si sta cominciando a fare uso di tecnologie avanzate per studiare e metter mano nella scatola cranica. A stabilire il confine etico degli interventi sul cervello, tuttavia, ci hanno pensato i ricercatori che, nel maggio del 2006 in California, hanno dato vita alla Neuroethic Society, un’assemblea internazionale che terrà il suo primo simposio a Washington tra qualche giorno. Guru indiscusso della nuova bioetica è Peter Reiner, docente dell’Università Pennsylvania e della British Columbia: “Il cervello è l’essenza di cio’ che siamo – dice – e accettare il progresso non significa trascurarne le conseguenze. Occorre tenere a bada la tecnologia che pretende di intervenire nel processo di conoscenza”.

Spesso, infatti, accade che farmaci studiati per curare una patologia vengano poi usati per migliorare una condizione tutt’altro che patologica: è il caso del Prozac, divenuto un must in troppe famiglie e appuntamento quotidiano per uomini e donne ai quali non occorrerebbe; è il caso del Viagra, di cui si fa un abuso evidente; è il caso del Modafinil, un farmaco anti-narcolessia che negli Usa prendono tutti coloro che necessitano, per motivi futili, di allungare la resistenza contro il sonno naturale e la stanchezza; è il caso, opposto, dello Zolpidem, sonnifero ad azione rapida. I dati dicono che il 15% degli studenti americani usa il Ritalin per affrontare gli esami scolastici. Il futuro, inoltre, riserva una serie di novità farmacologiche: quelli per potenziare la memoria e intervenire sul processo di invecchiamento, ormoni per eliminare le resistenze psicologiche.

Il dubbio enorme dei ricercatori è che il corpo umano non sia pronto a ricevere quantità sempre maggiori di medicinali anche se il 70% degli abituali consumatori di medicine dichiara di non aver paura delle controindicazioni. Accanto ai farmaci si studiano anche strumenti diversi come la stimolazione magnetica transuranica e la meditazione per aiutare l’attenzione. “La cosa che colpisce e lascia l’amaro in bocca – continua Reiner – è pensare al fatto che ogni novità diventa funzionale ad incrementare i ritmi frenetici di lavoro. Ogni scoperta ci porta ad essere sempre piu’ ansiosi e in ritardo, manca sempre tempo e diventa difficilissimo ritagliare spazio per se stessi. Oggi ne sappiamo molto piu’ di dieci anni fa e molto meno di quel che sapremo fra vent’anni. Spero solo che ogni scoperta ed ogni sostanza da assimilare per stare meglio non sia per forza legata all’implicita condizione di lavorare di piu’ e godere meno la vita. Forse, e me lo auguro, tornerà il tempo di cominciare a fare il contrario”.