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Neuroni, identificata proteina chiave per la rigenerazione

E’ stato identificata la proteina  associata alla rigenerazione dei neuroni danneggiati. La scoperta è da attribuire ai ricercatori della Penn State  e della Duke University il cui studio dedicato è stato pubblicato dalla rivista di settore Cell Reports. Gli scienziati sono riusciti ad evidenziare come anche una mutazione di un solo gene in tale ambito sia in grado di bloccare del tutto il processo attraverso il quale le cellule nervose comunicano tra loro e con le altre cellule.

I ricercatori, guidati dalla dottoressa Melissa Roll sono convinti che la loro ricerca possa rappresentare il punto di partenza per nuovi studi concernenti il sistema nervoso e la sua reazione a problemi di tipo traumatico:

Siamo fiduciosi che questa scoperta aprirà le porte a nuove ricerche relative al midollo spinale e ai disturbi neurologici.

Lo studio ha reso possibile comprendere meglio il funzionamento degli assoni, quella parte della cellula nervosa che consente lo svolgersi delle sinapsi: parliamo infatti di quelle cellule che formano i lunghi fasci che si estendono al di fuori dei neuroni e che almeno in linea teorica, potrebbero sopravvivere per tutta la vita dell’essere vivente. A patto però che le cellule nervose possano mantenere una loro resistenza e che possano essere in grado in caso di lesioni o rottura, di “riparare il danno” creando nuovi assoni. Il team già in passato si era occupato di questo particolare aspetto della fisiologia umana, tentando di capire se fosse possibile una rigenerazione delle connessioni nervose tentando una “ricostruzione” di queste connessioni tra cellule. Spiega la dottoressa Rolls:

Per far crescere una nuova parte di un nervo, sono necessarie le materie che vengono trasportate sui microtubuli, i quali dunque dovranno essere ristrutturati .

Gli scienziati si sono concentrati proprio su questo particolare passaggio scovando, come accennato, una proteina, specifica, la spastina, direttamente coinvolta nella rigenerazione degli assoni. Diversi studi dovranno ancora essere svolti, ma questa scoperta potrebbe rappresentare un importante punto di partenza per future applicazioni in ambito neurologico.

Fonte | Cell Reports

Photo Credit | Thinkstock