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Parkinson: terapia e diagnosi precoci da un esame del sangue

Il morbo di Parkinson potrebbe essere diagnosticato precocemente attraverso una semplice analisi del sangue. Ne sono convinti i ricercatori italiani che hanno appena pubblicato al riguardo uno studio sulla rivista scientifica “Proteomics”: un team di neurologi e biochimici guidati dai Prof. Leonardo Lopiano delle Molinette di Torino e Mauro Fasano dell’Università dell’Insumbria hanno identificato dei marcatori particolari per individuare le cellule neuronali soggette a degenerazione da morbo di Parkinson.

La scoperta è stata fatta grazie all’utilizzo di una particolare scienza, la proteomica, che studia le modificazioni e le reazioni delle proteine. Questa tecnica ha permesso di analizzare a fondo i linfociti, ovvero le cellule del sistema immunitario nel sangue. Questi infatti hanno in comune con i neuroni soggetti a degenerazione parkinsoniana numerose caratteristiche specifiche, tali da poter riflettere a livello periferico molte alterazioni biochimiche tipiche della patologia. In particolare lo studio ha individuato marker tipici di persone sane, affette da morbo di Parkinson e da altre malattie neurologiche degenerative da questo diverse.

Un passo avanti molto importante dunque, perché in genere questo disturbo viene individuato  solo in presenza di una sintomatologia evidente: tremore (ma non solo), rigidità muscolare, stanchezza eccessiva, disturbi della parola ecc., quando cioè è tardi per attivarsi un una cura che rallenti il decorso clinico.

Attualmente si procede con la terapia sintomatica: i farmaci attualmente in uso ad esempio agiscono sulla rigidità muscolare, ma non sono privi di effetti collaterali, soprattutto se si considera che stiamo parlando di cure a lungo termine.

I marker individuabili nel sangue potrebbero aprire la strada a nuove terapie, in grado di rallentare la progressione oltre che di controllare i sintomi. Sarebbe bello. Lo speriamo, perché portarsi addosso una patologia degenerativa cronica non è facile: alcune forme gravi possono portare a disabilità o comunque ad una difficoltà nell’autonomia. Nelle più lievi, esiste comunque un disagio psico-sociale che può condurre anche ad importanti stati di ansia e depressione. Non a caso la ricerca in questione è stata finanziata dalla AAPP (Associazione Amici Parkinsoniani Piemonte), una onlus di volontari e familiari di persone affette dal morbo. In Italia vivono più di 220.000 malati di Parkinson.