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C’è differenza tra vivacità e iperattività

Molto spesso da parte dei genitori c’è la paura che il proprio bambino sia iperattivo. Molto spesso infatti que­sti ultimi portano a valuta­zione diagnostica i propri figli con la specifica ri­chiesta di capire se il bambino ha tale distur­bo. Questo è oggi un ar­gomento molto dibattuto e spesso controverso ed è ripetutamente travisato da genitori ed insegnan­ti; argomento che spes­so incute timori e paure nelle figure che operano con bambini “esuberan­ti“.

Per tali motivi oggi si è voluto trac­ciare una distinzione tra vivacità ed iperattività; di­stinzione che ci auguriamo possa essere d’aiuto per comprendere al me­glio se si ha a che fare con un bambino portato­re di un disagio specifico oppure con un bambino semplicemente energi­co. Per iniziare a tracciare la prima definizione dob­biamo chiederci innanzi­tutto cosa è l’ADHD? La parola ADHD significa let­teralmente Attention Defi­cit Hyperactivity Disor­der, che in lingua italiana diventa “Disturbo da Defi­cit di Attenzione e lperattività“. Tale sindrome por­ta il bambino iperattivo ad essere un bambino estremamente ingestibile, impulsivo e con un controllo inadeguato dell’attività motoria.

Il bambino affetto da ADHD (acronimo di di­sturbo da deficit di atten­zione ed iperattività) è un bambino che ha visibilmente difficoltà di atten­zione e concentrazione, di controllo degli impulsi durante le attività. Questi problemi derivano so­stanzialmente dall’ inca­pacità del bambino di regolare il proprio compor­tamento in funzione del trascorrere del tempo, de­gli obiettivi da rag­giungere e delle richieste dell’ambiente. Molto spesso le aree più compromesse sono quelle delle relazioni sociali poi­ché i bambini ADHD rice­vono minori apprezza­menti e maggiori rifiuti dai loro compagni es­sendo spesso aggressi­vi, dicendo frasi negative nei confronti dei pari, non essendo collaboranti e cooperativi.

Dunque è fondamentale dire che quando si parla di bambino iperattivo non si parla quindi di un bambino vivace e non si parla di un bambino che sta attraversando una normale fase di crescita. Secondo il manuale dia­gnosi per l’infanzia e per l’ adolescenza, DSM IV, per fare diagnosi di ipe­rattività il bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due con­testi (famiglia-scuola) e tra questi sintomi possia­mo annoverare

  1.  difficoltà nel sostenere l ‘attenzio­ne nei compiti o in attività di gioco;
  2. spesso ha diffi­coltà ad organizzare com­piti o attività varie;
  3. spes­so è sbadato nelle attività quotidiane, spesso muo­ve le mani o i piedi o si agi­ta nella seggiola;
  4. spesso parla eccessivamente;
  5. spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga se­duto;
  6. spesso corre in gi­ro o si arrampica ecces­sivamente in situazioni in cui non è appropriato spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno; spesso “spara” delle ri­sposte prima che venga completata la domanda.

In alcuni casi accanto a tal disturbo possono comparire nel corso del tempo ulteriori disturbi come il disturbo oppositi­vo provocatorio, il distur­bo della condotta, i di­sturbi depressivi e i di­sturbi d’ansia. È importante dire che quando si parla di iperat­tività si esula da un di­scorso educativo, libe­rando cosi le figure da re­sponsabilità di causa; ciò che semmai può essere preso in considerazione è il fatto che la presenza di critiche, rimproveri e at­teggiamenti negativi dei genitori possono rinfor­zare la percezione che il bambino ha di se stesso come “bambino cattivo”.

In altre parole, non sono le critiche, i rimproveri e le incoerenze educative dei genitori a causare il Di­sturbo da Deficit di Atten­zione e Iperattività; sem­mai tutti questi rappre­sentano dei fattori che possono far persistere o aggravare e rinforzare il disturbo. Essendo spesso scam­biato tale sindrome per un normale momento del bambino è consigliabile che i genitori condivida­no le loro preoccupazio­ni con il medico di fiducia o uno specialista del set­tore psicologo, neuropsi­chiatria infantile, pedia­tra, cosi da poter definire un eventuale processo diagnostico accompaguato da un idoneo trat­tamento. Quest’ultima fase si arti­cola attraverso un ap­proccio multimodale e multidimensionale com­posto da tecniche di pa­rent training, da una mo­dificazione del compor­tamento genitoriale, da un training sulle capacità sociali per i bambini, da training per gli insegnanti con interventi integrati nell’ambito scolastico.