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Cosa succede quando i genitori litigano e i bambini stanno a guardare

Sono davvero pochissime le coppie in grado di affer­mare con assoluta certez­za di non aver mai litigato du­rante la loro vita coniugale. Nella stragrande maggioranza dei casi succede con una certa frequenza. Secondo un’indagi­ne Eures nel 26,2 per cento delle famiglie italiane il conflit­to è quotidiano o settimanale, nel 26,7 per cento almeno una o due volte al mese. L’amore non è bello se non è li­tigarello, dice un vecchio ada­gio. E forse un fondo di verità c’è.

Ma che cosa succede se alle baruffe dei genitori sono co­stretti ad assistere anche i figli? Gli esperti affermano che i bambini, soprattutto i più pic­coli, vogliono ricevere e dare af­fetto a entrambi i genitori e che sono estremamente leali nei confronti delle persone che amano. Per questo, davanti a un loro litigio possono sviluppa­re una buona dose di ansia perché gli si pone davanti il di­lemma: chi dei due ha ragione? E, visto che all’interno dei litigi familiari, nella gran parte dei casi, i motivi della sfuriata non sono così chiari ed evidenti, ma affondano nel trascorso di una relazione in cui scarseggia la comunicazione, è estrema­mente complicato per un bam­bino decidere da che “parte” stare. Il turbamento che ne sca­turisce è ancora più angoscioso se in casa non ci sono altre figu­re adulte (nonni, fratelli mag­giori, zii) nelle quali trovare un conforto.

A ciò si aggiunga che per un bambino piccolo le parole hanno un significatopesan­te“. Per loro non è ammissibile dire «ti odio» a qualcuno pur continuando a volergli bene. È tutto bianco o nero, non ci sono sfumature di grigio. E non possiedono una struttura di pensiero elaborata al punto da poter concepire che dietro una parola forte o un insulto, più che il significato intrinseco, c’è un’emozione.

Un’indagine condotta dai pe­diatri italiani ha dimostrato che quando vivono in un contesto familiare stressante, in cui il liti­gio tra genitori è all’ordine del giorno, i bambini hanno mag­giori probabilità di soffrire di in­sonnia. Più che le preoccupa­zioni scolastiche, infatti, a ren­dere difficoltoso l’addormenta­mento sembrano essere le ten­sioni assorbite tra le mura do­mestiche. Secondo gli esperti, quando la sera scoppia una lite in casa, i bambini non hanno modo di scaricare le ansie accu­mulate durante il giorno.

Ciò provoca in loro una sorta di paura di addormentarsi, perché temono di fare brutti sogni. Per questo è importante favorire l’addormentamento creando, nelle due ore che precedono la nanna, un ambiente calmo e rilassato. E, per la stessa ragione, oltre alle sfuriate, i bambini non dovrebbero nemmeno vedere programmi televisivi che ri­chiedono un forte coinvolgi­mento emotivo. Arrabbiarsi, farsi prendere dall’i­ra e litigare con il proprio part­ner è più o meno inevitabile per la maggioranza delle coppie.

La prima cosa da fare, per evita­re gli effetti del litigio sui bam­bini, è non dare in escande­scenze davanti a loro. Ovvia­mente capiranno che c’è stata una discussione, ma almeno avrete risparmiato loro i partico­lari più cruenti dello scontro. Con gli anni poi, crescendo, ca­piranno che la vita è fatta anche di conflitti e incomprensioni, ma l’importante è impara­re che le difficoltà, se c’è la vo­lontà e soprattutto un legame affettivo forte, possono essere superate. Per questo è impor­tante fare la pace, dopo. Oltre che alla vita di coppia, è saluta­re anche per il bambino. Non c’è niente di peggio di lasciare in sospeso un litigio, magari an­dando avanti per giorni a pun­zecchiarsi e a mettere il muso di continuo.

Se si viene “beccati” dal piccolo a litigare è bene poi evitare di fingere che non sia vero. Molto meglio ammettere che si stava discutendo e litigando. E, dopo aver ripreso la calma, si può spiegare al piccolo che anche gli adulti, come d’altra parte i bambini, qualche volta litigano. E che quando mamma e papà bisticciano, qualche volta, non vuol dire che non si vogliono più bene.

Da http://www.consumercare.bayer.it/ebbsc/export/sites/cc_it_internet/it/Sapere_and_Salute/articoli/Ottobre_2009/11_Psiche.pdf