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Cure per la sterilità: rischi e diritto all’informazione

Il consenso alle terapie somministrate alle donne per favorire una gravidanza dev’essere “informato”. Altrimenti, in caso di malformazioni del bimbo provocate dai farmaci assunti dalla madre, i medici corrono il rischio di essere condannati a risarcire i danni causati alla famiglia. Perché, omettendo l’ informazione dovuta, hanno concretamente violato il diritto del concepito a nascere sano.

E’ accaduto a due professionisti campani, nei confronti dei quali la terza sezione civile della Cassazione ha confermato il verdetto espresso dalla Corte d’appello. Nel 1986 i medici avevano sottopo­sto una donna a una cura per stimolare l’ovulazio­ne, senza informarla dei possibili rischi che il farmaco utilizzato (clorilifene citrato) poteva far correre al feto. Pericoli dimostrati anche nella letteratura scientifica dell’epoca. Dopo alcuni mesi la don­na era rimasta incinta, ma il bambino era nato con gravissime malformazìoni.

Una volta diventato maggiorenne, insieme con i genitori, si è dunque rivolto alla giustizia per ottenere il risarcimento dei danni subiti per il mancato consenso informato. Il tribunale di Napoli ha riconosciuto alla cop­pia un  “ristoro” plurimilionario: 11 milioni di euro a entrambi quali genitori, 40mila euro alla madre in proprio (78 milioni di vecchie lire) e circa la meta al padre (41,5 milioni di vecchie lire).

La Corte d’appello napoletana, però, nel 2004  ha so­speso l’efficacia esecutiva della sentenza per le somme che superavano i 500 milioni di vecchie lire, condannando i medici a pagare le somme, già liquidate dal tribunale, al netto degli importì già ricevuti dai danneggiati. La decisione della Suprema Corte, la Cassa­zione ha confermato in toto la sentenza di secondo grado, respingendo sia il ricorso dei professionisti sia i controricorsi del ragazzo e dei genitori. In particolare, gli Ermellini hanno sottolinealo che il nascituro è un soggetto giuridico a tutti gli effetti e «sul piano personale quale concepito ha il suo diritto a nascere sano».

Esiste dunque ú conìspondente obbligo dei sanitari a risarcirlo (il diritto al risarci­mento è azionabile dai genitori), «per mancata os­servanza del dovere di una corretta informazione (ai fini del consenso informato) in ordine alla terapia prescritta sia del dovere di somministrare farmaci non dannosi per il nasci­turo stesso». Sul consenso informato la Cas­sazione fa però una precisazione importante: se è vero che esiste un diritto a nascere sano, non è configurabile di contro «il diritto a non nascere se non sano».

 La conseguenza non è da poco, sul piano formale e sostanziale: il «non può avvalersi del risarcimento del danno perché la madre non è stata posta nella condizione di praticare l’aborto». L’obbligo di risarcirlo scatta solo per la mancata informazione «nella mera pre­scrizione dei farmaci», e non ai fini dell’interruzione di  gravidanza.