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Infezioni, come fu evitata l’amputazione della gamba di Garibaldi

 “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” tante volte anche per gioco abbiamo cantato filastrocche e ritornelli su questo episodio. Cerchiamo però di andare a fondo della storia, facendo un cenno al ferimento del Generale, e focalizzandoci come la medicina del tempo riuscì ad evitare all’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi una quasi certa amputazione dell’arto inferiore. Non molti sanno infatti che vennero chirurghi da tutta europa per salvare la gamba del combattente.

E’ l’agosto del 1862 e Garibaldi viene ferito al malleolo della gamba destra. E’ il giorno 29 e i garibaldini con il loro generale si trovano a combattere in Calabria con le forze dell’esercito piemontese che sebbene dalla “stessa parte” non approvava l’atteggiamento dell’uomo e le sue iniziative personali.  Garibaldi viene colpito da due pallottole di carabina. Una di esse colpisce l’anca di striscio: una ferita non bellissima ma nulla di più. L’altra, che buca  gli indumenti del Generale fino ad arrivare al malleolo, si rivela ben più pericolosa per la salute dell’uomo.

Sebbene immediatamente soccorso dai suoi chirurghi di fiducia, Enrico Albanese, Pietro Ripari e Giuseppe Basile, l’infezione causata dal proiettile sembra crescere in fretta. E molto prima della scoperta dell’asepsi chirurgica, l’unico metodo per evitare che il paziente morisse in casi del genere era l’amputazione dell’arto nella speranza di bloccare l’infezione . Come accadde, ad esempio, per Goffredo Mameli nel 1848 a Roma, seppure senza successo.

Garibaldi non era contrario all’amputazione, capendo che poteva rappresentare l’unico modo per agire. Albanese tenta una prima rimozione del proiettile, ma il tentativo fallisce e dopo aver bendato il tutto adeguatamente parte una spedizione di “speranza” verso la Spezia  dove vengono richiamati al capezzale del combattente i luminari chirurgici italiani dell’epoca. Il problema consta nell’impossibilità di trovare il proiettile nel piede: a quei tempi i raggi X non esistevano. E per due mesi circa Giuseppe Garibaldi viene tenuto sotto stretto controllo, al fine di ritardare il più possibile l’inevitabile. Il problema consta però nel fatto che le condizioni dell’uomo peggiorano. Con il passare del tempo la tumefazione non interessa solo il malleolo ma anche la gamba di Garibaldi che a causa dell’infezione soffre di forti dolori e febbri molto alte.

Il 10 settembre arriva in Italia Richard Partridge, membro del Royal College dei chirurghi di Londra, che ritorna il 31 ottobre al capezzale di Garibaldi portando con sé addirittura il  famoso chirurgo Nikolai Pirogoff da Pietroburgo. Saranno infine il napoletano Ferdinando Palasciano ed il francese Auguste Nélaton a decretare la sorte fausta della gamba di Garibaldi. Il chirurgo d’oltrealpe, costretto a tornare in patria fa inviare ai colleghi italiani due sondini di sua invenzione per verificare la presenza di proiettili nelle ferite. A contatto con il piombo del proiettile infatti la sfera di porcellana annerisce confermandone la presenza. Fu così che Ferdinando Zanetti, altro luminare italiano, poté salvare la vita al Generale il 22 novembre (ormai in pessime condizioni, n.d.r.)estraendo il proiettile e consentendogli di poter recuperare l’uso della gamba.

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Fonte: Corriere della Sera