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Diabete di tipo 2, dieta povera di carboidrati riduce infiammazioni

Quando si è affetti da diabete di tipo 2, alimentarsi correttamente seguendo una dieta appropriata è basilare. Se questa fosse davvero a basso contenuto di carboidrati sarebbe un alleata “speciale” contro le infiammazioni nei pazienti diabetici.

Lo sostiene un gruppo di scienziati dell’Università di Linköping, in Svezia, coordinato dal professor Hans Guldbrand e dal professor Fredrik H Nyström. Questi, prendendo in considerazione il modello di studio animale, attraverso una serie di test specifici sono stati in grado di osservare come i macrofagi, cellule del sistema immunitario, invadessero il tessuto del pancreas durante le prime fasi dello sviluppo del diabete di tipo 2. Perché è importante che si riescano a sedare le infiammazioni? E’ semplice. Perché nel momento in cui le cellule infiammatorie colpiscono il pancreas portano alla produzione di una forte quantità di citochine, delle proteine che favoriscono questo processo e contemporaneamente portano a squilibri nella produzione dell’insulina la cui conseguenza diretta è proprio il diabete.

Per giungere alle conclusioni rivelate, i ricercatori hanno “assunto” per il loro studio 61 persone affette da diabete di tipo 2. All’inizio sono stati loro suggeriti dei “consigli nutrizionali” dettati da un esperto e dopo 6 mesi sono stati analizzati i loro marcatori infiammatori. Tutti hanno mostrato una perdita di peso media di 4 chili e coloro che avevano consumato meno carboidrati presentavano livelli di infiammazione molto più bassi di coloro che si erano cibati con una dieta caratterizzata da pochi grassi. E’ per questo motivo che i ricercatori sostengono che una dieta povera di carboidrati possa fare davvero la differenza nell’approccio al diabete.

Ovviamente questo non è sinonimo di evitare di assumere i medicinali prescritti per la malattia, ma potrebbe essere possibile integrare in modo più netto l’approccio alimentare a quello farmacologico rendendo più efficace la terapia e dando quindi modo di migliorare la salute dei pazienti affetti dalla patologia. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista di settore Annals of Medicine.

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