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Test di valutazione per allenatori, medici sportivi, preparatori e soprattutto sportivi: come misurare la propria condizione fisica

Tra gli atleti agonisti, ma anche tra i dilettanti, vanno di moda le prove più svariate per giudicare il grado di forma. Ecco allora una piccola guida per allenatori, medici e preparatori atletici e soprattutto per le persone che vogliono misurare la propria condizione fisica. Ha valore sottoporre uno sportivo a dei test? Certamente sì. In questo modo si può valutare se l’allenamento svolto ha dato i suoi frutti, se la progressione del carico, con l’alternanza dei recuperi relativi, è stata corretta, se l’atleta ha avuto miglioramenti proporzionati alle aspettative.

 E’ importante che sia ripetuto dopo un certo periodo di tempo, per confrontarlo con la prova precedente. Un esempio: il ruolo del portiere, in una squadra di calcio, è di rilievo. Non è necessario disporre di grandi mezzi per poterlo sottoporre a dei test di valutazione: con il salto in lungo da fermo, con il lancio di una palla medica all’indietro il più lontano possibile, infine con il salto in alto da fermo, prove che non hanno costo alcuno, si esplorano le qualità di forza esplosiva degli arti superiori e inferiori, fondamentali in quel ruolo.

 Evidentemente, più elevato è il livello prestativo, maggiori saranno i mezzi economici disponibili e più sofisticati i test. Ma non bisogna credere che gli atleti di vertice abbiano sempre queste possibilità: a volte ciò è vero, ma c’è anche da dire che, effettuando i test valutativi con svogliatezza e senza la necessaria concentrazione e collaborazione, può essere difficile comparare i valori di rilevazioni diverse. Un altro problema subentra se non c’è collaborazione tra i vari componenti, lo staff di una squadra o comunque del singolo atleta: quando viene effettuata una batteria di test, la fase seguente deve essere l’elaborazione dei risultati; medico, preparatore e allenatore si devono confrontare, ognuno senza perdere di vista il proprio ruolo, affinché l’atleta disponga di un piano di lavoro individualizzato, limitando al minimo il rischio di infortuni, di eccessivi carichi di allenamento, di esagerata pressione psichica.

A volte si invertono i ruoli: il medico pretende di impostare i successivi carichi di lavoro, il preparatore si sente in diritto di stabilire, sulla base di test ematologici, il grado di salute di un atleta e l’allenatore di decidere se l’atleta, affetto da un infortunio più o meno grave, sia in grado di gareggiare la domenica successiva. II successo è invece spesso determinato, oltre che dal valore dello sportivo, anche dall’ambiente che lo circonda. Un ultimo consiglio: mai innamorarsi dei test; può accadere difatti che non ci sia sempre corrispondenza tra le prove effettuate e la prestazione agonistica successiva.

Questo per tanti motivi: scarsa concentrazione dell’atleta, condizioni esterne non ideali, non completa padronanza della metodica da parte dell’operatore, scarsa capacità agonistica, e via discorrendo. Vanno usati, interpretati, ripetuti, mai “idolatrati“. Ognuno, anche non sportivo, a questo punto, seguendo queste istruzioni, può crearsi il proprio test: tempo impiegato per compiere un percorso, numero di scalini saliti prima che compaia l’affanno, e chi più ne ha più ne metta.