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Salute sul lavoro? Sempre più… precaria!


[Photo courtesy of controcorrentesatirica.com]

Negli ultimi quindici anni il numero dei lavoratori interinali, autonomi o a progetto, ha subito un incremento considerevole, dieci volte superiore a quello della crescita complessiva della popolazione impiegata.

Soltanto nel 2005 i precari rappresentavano un terzo della forza lavoro totale, contando circa 43 milioni di persone. I lavoratori a tempo determinato sono in massima parte bianchi, dai 25 anni su, in prevalenza donne.

E’ quanto si evince da una ricerca pubblicata su JAMA, la rivista dell’American Medical Association.
Dire lavoro oggi equivale, dunque, a dire precariato.
La realtà professionale sempre più basata sulla flessibilità, sull’incertezza del domani, su condizioni finanziarie instabili, porta a risvolti negativi per la salute psicofisica.
La prima ragione è che il 16% dei precari ha un reddito inferiore ai 20000 dollari l’anno, mentre tra i lavoratori fissi la percentuale scende all’8%. Le difficoltà economiche sono una fonte elevata di stress, che nuoce gravemente alla salute psicofisica, con il rischio di infarti, emicrania cronica e di sindromi depressive.

Altra conseguenza negativa del precariato sul benessere è la mancanza di assicurazione medica: tra i lavoratori a progetto solo il 13% ha una copertura sanitaria a carico del datore di lavoro, mentre tra quelli regolarmente assunti la percentuale è del 72%. In Italia, fortunatamente, abbiamo un’assicurazione universalistica e ci auguriamo resti tale.
Inoltre, il rischio di incidenti per i lavoratori precari è più elevato, probabilmente perchè vengono spesso esposti alle mansioni più rischiose, almeno per quanto riguarda i lavori manuali.
I lavoratori giornalieri, impiegati nel mondo dell’edilizia e dell’agricoltura, risultano tra i maggiori esposti a questo rischio: il 19% di loro ha avuto almeno un incidente sul lavoro, a dispetto del 5% degli assunti.
Una singolare ricerca condotta sulle infermiere che assistono i malati di AIDS avrebbe, inoltre, stabilito che le precarie avrebbero il 65% di probabilità in più di venire a contatto con aghi infetti, rispetto alle colleghe dello stesso reparto assunte a tempo indeterminato.

Ma gli svantaggi del precariato non si esauriscono certo qui: uno studio condotto su un campione di 15000 lavoratori dalla Federazione dei sindacati del vecchio continente, ha riscontrato l’insorgere di diversi disturbi, in aumento tra i precari, come ad esempio patologie del rachide (schiena) e dolori muscolari.

Uno studio finlandese avrebbe altresì documentato come le probabilità di morte dei precari siano tra il 20 ed il 60% maggiori rispetto ai lavoratori stabili. Chi veniva assunto stabilmente, abbandonando lo stato di precarietà, diminuiva immediatamente il rischio di morire. Questo potrebbe dipendere, tra le altre cose, dal fatto che i programmi di screening e prevenzione, spesso sono riservati solo ai regolarmente assunti.
Inoltre, gli orari irregolari e lo stile di vita instabile, non garantirebbero la possibilità ai precari di avere un’attività fisica regolare e soprattutto di mangiare in maniera sana ed equilibrata. Per questa ragione i precari sviluppano più dei lavoratori fissi malattie come il diabete e tendono maggiormente all’obesità.

Le ripercussioni del precariato sul benessere psicofisico, come avete potuto osservare, sono tante, forse troppe per continuare a difendere a spada tratta la flessibilità.
Non potendo sindacare su questioni inerenti alle leggi sul lavoro, che esulano da questo contesto, una cosa ci sembra però chiara: la salute non è flessibile e non può essere inclusa in un tempo determinato.