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Gravidanza, ecografie e visite secondo OMS

Quante ecografie e visite bisognerebbe fare in gravidanza? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso note delle linee guida specifiche in materia volte per salvaguardare la vita del feto e della donna nel corso della gestazione per arrivare ad un parto sicuro e privo di problemi.

Ecografie in gravidanza

Secondo l’OMS sono necessarie almeno 8 visite dal medico specialista ( e quindi dal ginecologo, N.d.R.) per ridurre le possibilità di mortalità sia della donna che del bambino. Incontri che devono contenere non solo i classici controlli standard  ed almeno un’ecografia ma che devono essere utilizzati per dare consigli di tipo nutrizionale alle gestanti ed indicare la corretta attività fisica da eseguire.

Quando eseguire le visite

Mentre le vecchie linee guida sulla gravidanza prevedevano solo 4 incontri, ritenuti ora insufficienti, gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno stabilito che dopo la prima visita entro le prime dodici settimane (3 mesi circa, N.d.R.) sarebbe importante eseguire altrettanti controlli a 20, 26, 30, 34, 36, 38 e 40 settimane di gestazione. Non solo: prima delle 24 settimane bisogna eseguire un’ecografia che dia modo di verificare eventuali anomalie fetali.

Sottolinea Anthony Costello, direttore dell’ufficio Salute neonatale e materna dell’Oms:

Un maggior numero di contatti tra le donne e gli operatori sanitari lungo tutta la gravidanza facilita l’adozione di misure preventive, l’individuazione di rischi, riduce le complicanze e migliora le disuguaglianze nell’assistenza. Non si deve sottovalutare l’osservazione di questo periodo speciale per le donne. L’assistenza per le donne alla prima gravidanza è fondamentale, e determina anche quella delle successive.

In questo modo la donna ed il feto possono essere seguiti passo passo lungo tutto il corso del periodo di gestazione, dando la possibilità di verificare in modo celere se qualcosa non va e rendendo possibile una diagnosi ed un intervento tempestivo in caso di bisogno. Un approccio corretto per riuscire ad evitare i numerosi decessi in grembo o neonatali e delle gestanti che ancora avvengono in tutto il mondo.

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Fonte | OMS