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Doping e sport tra gli adolescenti e non solo

Sulle pagine sportive dei quotidiani l’argomento è ormai quasi all’ordine del giorno e, sia pur con molta meno risonanza, dilaga anche al di fuori dell’ambito agonistico. Dal campione di fama mondiale al body builder dilettante, nessu­no sembra sfuggire alla tentazio­ne di “pompare” le performance atletiche con qualche contributo artificiale. E in questo campo le risorse sembrano moltiplicarsi in sempre nuovi sistemi per aggira­re i controlli.

Costituiscono “doping” la som­ministrazione o l’ assunzione di farmaci o di sostanze biologica­mente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottopo­sizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologi­che dell’ organismo al fine di al­terare le prestazioni agonistiche degli atleti.

Questo è quanto stabilisce la legge italiana che disciplina in generale la tutela sanitaria delle attività sportive e in particolare la lotta contro il doping (n.376 del 14/12/2000). La normativa afferma che per l’impiego di so­stanze o pratiche dopanti sono punibili -in certi casi anche con la reclusione- sia l’atleta che ne fa uso, sia il medico che gliele prescrive o l’allenatore che le somministra. Il motivo per cui a livello interna­zionale si è sentito il bisogno di dichiarare illecito il potenziamen­to delle prestazioni atletiche ot­tenuto con metodi diversi dall’addestramento e dall’allena­mento fisico è quello ufficial­mente espresso dal Gruppo Eu­ropeo di Etica, che fa riferimento ai due aspetti critici principali del doping: la pericolosità per la salute degli atleti e l’incompatibilità con le condizioni comune­mente accettate della competi­zione sportiva leale.

 La determinazione assunta dalle istituzioni nella lotta al doping ha rispecchiato a sua volta gli al­larmi lanciati già a partire dall’i­nizio del secolo scorso dalle più importanti associazioni sportive internazionali -prima tra tutte, nel 1928, l’international Associa­tion of Athletics Federations (IAAF), seguita nel 1966 dalla Football International Federation Association (FIFA), dall’Union Cycliste Internazionale (UCI) e dall’International Olympic Com­mitee. Fino all’adozione di misure legi­slative specifiche, le iniziative prese dalle organizzazioni sporti­ve al proprio interno -le dichiara­zioni di condanna, l’applicazione dei primi test antidoping disponi­bili e le sanzioni applicate agli a­tleti incriminati- sono state gli unici strumenti di controllo utiliz­zati.

Provvedimenti accompagna­ti talora da grande scalpore -come la memorabile revoca della vittoria alle Olimpiadi di Seul (1988) al centometrista canadese Ben Jonhson, la cui prestazione da primato risultò “sostenuta” da un cocktail di anabolizzanti-ma insufficienti a reprimere una forma di trasgressione che, com­plici anche i progressi delle scienze farmacologiche, si è trasfor­mata rapidamente in una pratica sempre più ordinaria e, cionono­stante, sempre più sfuggente.

La preoccupazione nei confronti della diffusione del doping nasce non soltanto dalla considerazio­ne della sua incompatibilità con la deontologia sportiva, che si applica limitatamente all’ambito professionistico, ma anche dalla consapevolezza dei suoi risvolti sanitari, che invece riguardano tanto gli atleti quanto gli innu­merevoli cultori dilettanti delle discipline sportive. Il doping praticato nell’ambito amatoriale sembra infatti essere molto frequente e, in mancanza del connotato dell’illiceità sportiva, molto sottovalutato e per nulla controllato. Le poche inda­gini che hanno cercato di definir­ne l’entità e le caratteristiche ne hanno rilevato la diffusione per­sino nelle comuni palestre, so­prattutto tra gli appassionati di fitness e di atletica e nella fa­scia di età giovanile.

Particolar­mente a rischio, poi, sembrano essere bambini e adolescenti av­viati alla formazione sportiva, tra i quali l’uso di sostanze dopanti (con gli anabolizzanti in testa) ar­riverebbe al 5 per cento. Le motivazioni che inducono i professionisti e i semplici appassionati a ricorrere al doping sono diverse: a incoraggiare i primi a rischiare squalifiche e in­criminazioni sono soprattutto gli spropositati interes­si economici che gravitano in­torno agli eventi agonistici, men­tre i secondi sono spinti a rischia­re la salute da ragioni psicolo­giche, che vanno dal sogno di emulare i campioni dello sport prediletto, al desiderio di trasfor­mare la propria immagine corpo­rea, al bisogno di competere con i coetanei.