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Radiazioni, lo iodio potrebbe non bastare

 Il terremoto in Giappone e il conseguente tsunami hanno devastato buona parte dell’isola. A farne le spese in particolare la zona nord del paese, Fukushima, località nota per la presenza di una importante centrale nucleare. Un complesso ultimamente sottoposto ad un enorme stress.

A tenerlo sotto controllo dei tecnici specializzati, considerati ormai eroi in patria e per i quali si teme che le radiazioni possano aver già causato danni irreversibili. A tal punto che le comuni pasticche di iodio non servano più a nulla.

La mente ovviamente corre a quei 134 pompieri di Chernobyl che morirono a causa della sindrome acuta da radiazioni. La paura del mondo intero è che, sebbene siano state messe in campo precauzioni non prese più di 20 anni fa in Russia, l’esposizione alle radiazioni sia stata così intensa forte da portare la comparsa della patologia sopra citata.

Essa si manifesta inizialmente con nausea, vomito, diarrea e problemi cutanei simili a quelli che si hanno dopo una forte scottatura solare. Dopo qualche tempo ci si sente meglio, ma spesso volentieri si tratta solamente di una ripresa transitoria. Nella maggior parte dei casi infatti subentra un nuovo aggravamento delle condizioni di salute che può durare da poche ore a diversi mesi, prima del sopraggiungimento del decesso. Le probabilità che il contagio sia letale variano a seconda della dose di radiazione assorbita. Spiegano dal centro di controllo delle malattie di Atlanta:

Alle persone esposte si danno tanti fluidi per favorire il ricambio, antibiotici per proteggerli dalle infezioni, trasfusioni e fattori che stimolino la produzione di nuove cellule del sangue, ma se i precursori sono danneggiati anche questi farmaci possono fare poco.

Le pasticche di iodio che tanto vengono nominate in caso di radiazione infatti, servono quasi esclusivamente a proteggere semplicemente dal cancro della tiroide. Se le condizioni fisiche lo concedono, in alcuni casi per combattere la patologia si può tentare il trapianto di cellule staminali al pari di ciò che si farebbe per le leucemie. Ovviamente si tratta di un intervento personalizzato e non applicabile ad un’esposizione di massa.

Al momento tra i paesi più impegnati, anche se per diversi fini, sulla ricerca relativa alla contaminazione nucleare, vi sono gli Stati Uniti. Negli ultimi anni sono arrivati a stanziare più di cinquecento milioni di dollari per finanziare la ricerca a proposito della sindrome acuta da radiazioni. Uno studio pubblicato su Nature, ha fatto il punto sulle diverse opzioni di cura: si tratta di terapie ancora non passate alla sperimentazione umana, ma che si sussurra possano essere già in atto in Giappone per salvare la vita di questi tecnici e dare più possibilità ad un paese gravemente colpito.

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