Home » Medicina Generale » Sla: inziata sperimentazione umana per nuovo farmaco

Sla: inziata sperimentazione umana per nuovo farmaco

 Da tempo si sosteneva la necessità di tentare la via genica per combattere la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Per la prima volta, in questi mesi, è stato sperimentato un approccio di questo tipo per inattivare un gene mutato che si sa essere parte delle cause scatenanti della malattia.

La sperimentazione e lo studio dedicato sono stati condotti dai ricercatori dell’Università di Washington e del Massachusetts General Hospital e poi poi pubblicati sulla versione online della rivista di settore Lancet Neurology. Ricordiamo cosa è la Sla: la sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neurologica degenerativa e progressiva che colpisce le cellule cerebrali dell’encefalo e del midollo spinale adibite al controllo dei muscoli. Con il progredire della malattia si passa dalla perdita di forza muscolare ed alla difficoltà di movimento fino alla paralisi ed in seguito alla morte.

La mutazione dei geni, lo ripetiamo, è solo una di quelle che sono le concause alla base della patologia. Si è voluto prendere in considerazione una particolare variante, legata strettamente ad un gene, il SOD1. Dopo aver testato su modello animale un farmaco specifico preparato per inibire quest’ultimo, gli scienziati sono passati ai test clinici, in diversi ospedali: il Barnes-Jewish Hospital, il Massachusetts General Hospital, il Johns Hopkins Hospital e il Methodist Neurological Institute di Houston. Tutti ottimi poli di ricerca, tra l’altro.

Sebbene la variante scelta di Sla correlata a questo gene rappresenti solo il 2% dei casi totali, i ricercatori hanno deciso di percorrere questa via perché il Sod1 può purtroppo contare su almeno 100 sue mutazioni correlate alla comparsa della Sla.

Quelli che possono sembrare dati strettamente tecnici, se venissero confermati i risultati ottenuti basandosi sulla sperimentazione umana (avvenuta con necessario gruppo di controllo, N.d.R), potrebbero rendere possibile, spiega il prof. Timothy Miller, coordinatore della ricerca, impiegare “questo stesso approccio ad altri geni mutati che causano disturbi del sistema nervoso centrale” come “alcune forme della malattia di Alzheimer, il Parkinson, il morbo di Huntington e altre condizioni”.

Fonte | Lancet Neurology

Photo Credit | Thinkstock