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Fecondazione assistita, maggiori casi di cancro registrati in bimbi nati in provetta

Non c’è alcun allarme, spiegano gli esperti, ma i dati hanno attirato l’attenzione dei ricercatori. Fino ad ora non ci sono segni preoccupanti o rilevazioni certe che i figli nati in provetta abbiano maggiori probabilità di contrarre malattie più avanti nella vita rispetto a quelli nati in modo naturale, ma in ogni caso è stato rilevato un numero maggiore di neoplasie da un team di ricercatori svedesi.

Per la loro ricerca gli scienziati scandinavi hanno preso in considerazione 26.692 bambini nati tra il 1982 ed il 2005 che erano stati concepiti con tecniche di fertilizzazione in vitro (Fivet), ed hanno così potuto rilevare come un aumento molto basso, ma “statisticamente significativo”, di tumori si registrava in questi neonati. In particolare, confrontando i dati con il Registro dei Tumori nazionale, i ricercatori hanno scoperto che mentre i bambini nati in maniera naturale presentavano qualche forma di cancro in 38 casi ogni 27 mila prima dei 19 anni, il numero saliva a 53 tra i nati con il Fivet.

Il tumore più comune era la leucemia, seguita dai tumori dell’occhio o del sistema nervoso centrale, più altri tipi di tumori solidi. L’unico dato un po’ più preoccupante riguarda una malattia molto rara, che difficilmente viene diagnosticata, come l’istiocitosi delle isole di Langherans. Questa condizione ha una rilevanza di un caso ogni 27 mila, mentre a seguito della fecondazione assistita il numero saliva a 6.

I ricercatori ancora non hanno una spiegazione certa di questo fenomeno, ma perlopiù sono d’accordo nel pensare che non ci sia una relazione diretta tra la provetta ed il tumore. Più che altro un motivo potrebbe essere che, siccome a queste tecniche ricorrono coppie che hanno problemi fisici come una condizione di infertilità o rischi maggiori di complicanze, siano proprio queste condizioni ad aumentare il rischio. Dopotutto questi problemi precedenti sono alla base del numero lievemente maggiore di malformazioni (+1,3% di possibilità) o anomalie genetiche (dallo 0,6 all’1,2% di rischio in più), anche se questi problemi nascono da fattori di rischio esterni come il seme maschile alterato o da malattie genetiche già presenti negli spermatozoi.

I dati in ogni caso vanno presi con molta cautela perché questo è il primo studio effettuato in questa direzione, e secondo Guido Ragni, consulente scientifico ed ex-direttore del Centro Sterilità della Fondazione Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena di Milano, e presidente della Società Italiana della Riproduzione

Ventisettemila casi sono tanti, ma nel mondo i bambini nati in trent’anni di fecondazione in vitro sono ormai ben più di tre milioni. Se ci fosse stato davvero un incremento consistente di rischio di cancro la cosa non sarebbe passata inosservata.

[Fonte: Corriere della Sera]