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Sindrome di Down: il segreto è nel “comportamento” del cromosoma 21

La sindrome di Down è una delle malattie più misteriose, tra quelle più diffuse, in quanto la causa è stata individuata, ma non compresa in pieno. Ora uno studio dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, insieme all’Istituto di genetica e biofisica  “Adriano Buzzati Traverso” (Igb), potrebbe aver fatto luce su tale mistero.

Si conosceva già un’anomalia nel cromosoma 21, ed essa è stata confermata dallo studio. Ciò che c’è di nuovo è che è la sua interazione con altri geni a determinare le alterazioni patologiche. Nei pazienti affetti da sindrome di Down infatti, il cromosoma 21 è presente in triplice copia (chiamata trisomia 21), a differenza degli individui normali che ne hanno solo due. I ricercatori napoletani hanno così cercato di costruire una mappa accurata dei geni alterati per capirli, studiarli, e trovare una cura.

Spiega Alfredo Ciccodicola, a capo del progetto:

Avere la possibilità di studiarne la sequenza può fornire una più accurata rappresentazione, ad alta definizione, di come la patologia nasce ed evolve.

Per farlo è stato utilizzato il cosiddetto “sequenziamento di nuova generazione” che consente di mappare in breve tempo le malattie genetiche. Come funziona lo spiega lo stesso Ciccodicola

Un software ricostruisce una mappa ad alta risoluzione componendo milioni di piccoli frammenti. Una procedura impensabile fino a pochi anni fa, poiché richiedeva anni di lavoro e investimenti molto ingenti.

Gli fa eco il principale collaboratore del progetto, dott. Valerio Costa:

Grazie a questa innovativa tecnologia siamo riusciti a comprendere che non
solo i geni presenti sul cromosoma 21 sono responsabili della malattia ma è la loro
interazione con altri geni a determinare le alterazioni patologiche della sindrome. Questa metodica, unita all’utilizzo di un nuovo protocollo sperimentale nella preparazione dei campioni da sequenziare, ha reso possibile l’identificazione di forme alternative di alcuni geni presenti esclusivamente nelle cellule dei pazienti e ha consentito, per la prima volta, di analizzare piccole molecole di RNA che interagiscono con i geni regolandone la loro espressione.

Con la stessa tecnica altri ricercatori sono riusciti a comprendere meglio altre patologie finora ostiche come il morbo di Alzheimer. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Plos One.

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