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Alzheimer, solanezumab rallenta la malattia

Un nuovo farmaco, il solanezumab, messo a punto in Inghilterra potrebbe efficacemente rallentare la malattia d’Alzheimer. Ed ancor più importante, essere disponibile tra circa tre anni sul mercato.

Gli studi effettuati sul solanezumab hanno mostrato la validità della molecola studiata sulle persone all’interno di trial clinici, mostrando una riduzione del declino mentale di almeno un terzo nei pazienti che lo hanno assunto: il campione iniziale prevedeva il seguire 1.322 malati iniziali di Alzheimer per 3 anni e mezzo. Certo, la stessa azienda che ha messo a punto il farmaco ha sottolineato che la sperimentazione è avvenuta su delle persone affette da Alzheimer allo stadio iniziale della malattia con sintomi lievi. Ciò non elimina l’efficacia rilevata.

Ciò che di interessante ha questo farmaco non è solo l’effetto finale del suo utilizzo ma il fatto che agisca sui processi alla base della malattia e non solo sui sintomi della stessa rallentando il tipico declino cognitivo dell’Alzheimer. Secondo il Telegraph che ha eseguito una inchiesta sul farmaco, sebbene i trial clinici non finiranno prima della fine dell’anno, potrebbe arrivare un via libera dall’Agenzia dei farmaci britannica molto presto, seguita da quello dell’Istituto nazionale per l’eccellenza clinica. Commenta uno degli scienziati che hanno lavorato sul farmaco, il prof. Richard Morris:

Non stiamo parlando di uno studio condotto sui topi, ma su malati. E questo conta.

Ed in effetti è proprio qui una delle differenze sostanziali rispetto ad altri farmaci ancora in studio. I risultati ottenuti sono relativi alla risposta del corpo umano, non di cavie similare. E la molecola del farmaco, è un anticorpo che si lega all’amiloide, una sostanza proteica pericolosa che il medicinale riuscirebbe a spazzare via dall’organismo quando è ancora presente nel nostro organismo, prima che formi le placche tipiche della malattia.

Inizialmente il solanezumab era stato messo a punto per le persone affette da demenza avanzata. Quando gli studiosi si sono resi conto che non aveva avuto effetto hanno deciso di testarlo su persone affette da forma lieve di Alzheimer.

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