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Artrite reumatoide: fra cinque anni una nuova cura?

L’Artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce la membrana di rivestimento della superficie interna delle articolazioni (la cosiddetta membrana sinoviale) causandone il rigonfiamento e la progressiva distruzione dell’articolazione stessa. E’ caratterizzata da un decorso ciclico con periodi di remissione che si alternano a periodi di riacutizzazione della patologia.

In Italia ne sono affette circa 600mila persone, soprattutto donne di età compresa fra i 35 e i 50 anni. Fra i sintomi dolore articolare accompagnato da gonfiore e rigidità, stanchezza muscolare, anemia, febbre, perdita di peso. La patologia si può estendere a tutto l’organismo e colpire, tra l’altro, polmoni, cuore, occhi e reni (motivo per cui la si definisce sistemica).

Ad oggi le cause che determinano l’artrite reumatoide non sono note, gli esperti ritengono vi sia una componente ereditaria che interagisce con fattori ambientali scatenanti (forse di natura batterica o virale).

Attualmente la terapia è farmacologica e si basa sull’impiego di antinfiammatori. Tuttavia, secondo un team di studiosi dell’università britannica di Newcastle, fra “soli” cinque anni potrebbe essere disponibile una nuova cura contro l’artrite reumatoide che promette di essere rivoluzionaria.

La tecnica, già sperimentata su cavie da laboratorio, si basa infatti sulla manipolazione con steroidi e vitamina d di globuli bianchi prelevati dal paziente che, una volta modificati per bloccare il sistema immunitario (la cui risposta abnorme è responsabile della patologia), vengono iniettati nelle articolazioni colpite.

Secondo quanto afferma Alan Silman, direttore dell’organizzazione Arthritis Research Campaign, che ha finanziato la ricerca, una sola iniezione dovrebbe bastare a sconfiggere la malattia. Intanto, secondo quanto riferito dai media britannici, partirà a breve, presso il Freeman Hospital di Newcastle, la sperimentazione pilota su un piccolo gruppo di volontari affetti da artrite reumatoide. Se questo test preliminare sull’uomo andrà a buon fine la sperimentazione sarà estesa a un campione più ampio di pazienti.