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Ictus, meglio chirurgia o farmaci?

Meglio la chirurgia o i farmaci per approcciare l’ictus? Se c’è un fattore certo che deve essere rispettato nella terapia di questa malattia è senza dubbio la velocità d’intervento. Ed in alcune situazioni, soprattutto quelle nelle quali il disturbo è causato da un embolo, agire chirurgicamente apparire essere l’approccio migliore.

Soprattutto in termini di risultati finali e ripresa della persona. Se ne parlerà approfonditamente nei prossimi giorni a Venezia, nel corso del “Venice Interventional Cardiology focus on Heart and Brain”, un incontro dedicato al tema nel quale è prevista la partecipazione di diversi specialisti internazionali. Perché ci si inizia a porre la suddetta domanda con sempre più forza anche per ciò che riguarda l’ictus? Perché i diversi protocolli attuati per l’infarto, altra patologia derivante spesso dallo stesso problema vascolare, hanno mostrato che  agire chirurgicamente per via endoscopica senza attendere che i farmaci facciano il loro effetto, dà modo di raggiungere sul lungo periodo (in molti casi, N.d.R.) una percentuale maggiore di guarigione nei pazienti. Basti pensare alle angioplastiche che consentono, dopo un infarto, di salvare la vita del malato riaprendo le arterie velocemente, ottenendo così una prognosi favorevole.

Non bisogna dimenticare che l’ictus è un’ostruzione delle arterie cerebrali che garantiscono flusso di sangue all’organo: più lo stesso rimane privo di ossigenazione sufficiente, maggiori sono le conseguenze per la salute. Risolvere tempestivamente il problema limita i danni, le disabilità ed assicura la sopravvivenza dei neuroni e del paziente. La trombolisi (ottenuta attraverso medicinali specifici, N.d.R.) non è un approccio da superare in ogni caso ma è necessario, secondo gli esperti che si riuniranno a Venezia, poter contare anche su metodologie alternative che lavorino bene nei casi in cui la farmacologia si riveli inutile.

La trombectomia endovascolare può essere considerata una valida alternativa in tal senso: inserendo un catetere nell’arteria femorale si può arrivare sino al cervello e liberare dall’ostruzione la zona colpita con una rete microscopica in grado di riaprire il vaso sanguigno e quindi ricanalizzare la circolazione.

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