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Fibrosi polmonare: messa a punto nuova terapia

 La fibrosi polmonare è una malattia rara, cronica e progressiva che consiste nella formazione di tessuto “cicatriziale”nei polmoni. Additata comunemente come la malattia respiratoria rara “più frequente in Italia”, essa impedisce man mano la corretta ossigenazione del sangue. La ricerca ha portato in avanti la lotta contro questa patologia: è stata infatti identificata una terapia volta alla cura di questa patologia.

La fibrosi polmonare è una malattia di tipo genetico. Sebbene non si sia riusciti ancora ad identificarne il gene responsabile, si pensa che vi possa essere una correlazione, un fattore di rischio con il tabacco, dato che il 60% dei malati, a livello statistico,  è stato un fumatore. I sintomi più comuni sono tosse secca ed una  mancanza di fiato alla quale spesso si accompagnano bassi febbri e stanchezza.

La rivista di settore New England Journal of Medicine ha pubblicato recentemente uno studio condotto dai ricercatori del Centro per le Malattie Rare del Polmone dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, coordinato dal prof. Luca Richeldi. La sperimentazione , arrivata alla seconda fase e condotta su 400 pazienti, è riuscita a identificare una cura volta all’inibizione delle proteine responsabili della formazione di tessuto fibrotico.

Prima di trovare uso non sperimentale, il farmaco messo a punto dovrà essere sottoposto a due ulteriori studi di fase tre, che avranno conclusione solo nel 2014.  Ad ogni modo, dagli scienziati di Modena, arriva una buona conferma: il medicinale, appartenente alla “classe degli inibitori delle tirosin-kinasi” è in grado di rallentare la progressione della malattia.

Il BIBF 1120, nome del farmaco in uso nella sperimentazione, appartiene ad una classe di medicinali già utilizzata con successo in alcune patologie oncologiche. Entrando nello specifico dei dati il farmaco ha dimostrato la sua efficacia, nella dose più alta, nel ridurre del 68% il decadimento della capacità polmonare, ed in modo sensibile la frequenza degli aggravamenti.

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Fonte: NEJM