Home » MEDICINA TRADIZIONALE » Oncologia » Cancro al colon: la forma ereditaria si combatte con l’aspirina

Cancro al colon: la forma ereditaria si combatte con l’aspirina

Le persone che sono predisposte per alcuni tipi di cancro ereditario fino ad oggi potevano soltanto sperare di non subire la stessa malattia dei loro genitori, e al massimo tentare di evitare i fattori di rischio che potevano favorirne l’insorgenza. Oggi però hanno un’arma in più. Un’arma che, a dir la verità, hanno da sempre avuto nel loro armadietto dei medicinali: l’aspirina.

Secondo una recente ricerca effettuata presso l’Università di Newcastle, in Gran Bretagna, prendere due aspirine al giorno per due anni riduce il rischio a lungo termine del 60% di sviluppare il cancro al colon nelle persone geneticamente a rischio. La scoperta ha subito fatto scattare una serie di studi ulteriori per capire se questa pratica possa andar bene anche per altri tipi di neoplasie o condizioni.

E’ bene comunque ricordare che prendere l’aspirina non è come mangiare delle caramelle, perché l’eccesso di questo medicinale comporta una serie di problemi, tra cui il peggiore è l’aumento del rischio di emorragia gastrointestinale.

L’autore della ricerca è John Burn dell’Università di Newcastle, il quale ha osservato 861 pazienti affetti dalla sindrome di Lynch, una condizione genetica che li predispone ad una serie di tumori, tra il 1999 ed il 2005, con l’inizio delle analisi avvenuta nel 2007 fino al 2010. Si calcola che questa malattia colpisca almeno una persona su 1.000 e la metà circa di esse sviluppi il cancro, soprattutto nel colon e nell’utero.

I suoi dati suggeriscono che per ogni 10.000 casi di cancro evitati, ce ne potrebbero essere 1.000 in più grazie all’aspirina. Secondo lui l’unico problema deriva appunto dall’alto rischio di sviluppare ulcere o altre complicazioni legate a questo medicinale. La sua ricerca ora si concentrerà sull’abbassare le dosi per vedere fino a che punto una persona riesca a proteggersi dalla neoplasia attraverso questo metodo.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Lancet.

[Fonte: Health24]