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Attività fisica e sindrome metabolica

La diffusione dell’attività sportiva e l’evolversi della medicina hanno cambiato il concetto di sa­lute, portando a miglioramenti evidenti, soprattutto in rapporto al diffondersi della sindrome me­tabolica, una delle più diffuse patologie del mondo occidentale. Molti i fattori che la caratteriz­zano, in special modo l’associa­zione tra l’obesità addominale (adiposità centrale) e almeno due dei seguenti segni e sintomi: ipercolesterolemia (eccesso di colesterolo nel sangue) e/o dimi­nuzione del colesterolo HDL (co­siddetto colesterolo buono), ipertrigliceridemia (valori dei tri­gliceridi alti), ipertensione arte­riosa, alterazioni del metabolismo glucidico (diabete, glicemia alta).

Si considera obe­sità addominale una misura della circonferenza-vita superiore a 102 cm nell’uomo e di 88 cm nella donna. La terapia della sindrome meta­bolica è legata, oltre che alla cura dei singoli fattori, anche e soprattutto a una modificazione dello stile di vita. In questo am­bito assume importanza fonda­mentale l’attività fisica: in generale si può affermare che assumere una quota di 1000 kcal settimanali in meno comporti una significativa diminuzione della mortalità, anche se non è ancora ben chiara la dose ottimale, con­dizionata com’è dal sesso, età, eventuali patologie concomitanti, e componenti genetiche e psichi­che.

Secondo le linee guida 2009 della società internazionale del diabete, la dose ottimale di atti­vità fisica da svolgere è stimata in 3 sedute settimanali di 45-50 minuti oppure 5 da 30′. L‘attività deve essere prevalentemente aerobica, con una fre­quenza cardiaca compresa tra il 60 e l’80% della propria soglia. Calcolarla è molto semplice: si sottrae al numero fisso 2220 la propria età e poi si moltiplica per 60% e 80%. Una persona di 30 anni dovrebbe mantenere la fre­quenza cardiaca durante l’alle­namento aerobico tra i 114 e i 152 battiti al minuto.

Al di sotto non c’è allenamento, al di sopra si ha un coinvolgi­mento eccessivo del meccani­smo lattacido. Da un punto di vista normativo l’atleta agonista ultracinquan­tenne è equiparato al giovane atleta, pertanto gli accertamenti previsti per il rilascio del certifi­cato di idoneità sono i medesimi, ma a questo proposito è oppor­tuno fare delle digressioni. Quello che costituisce il regola­mento, la norma, la disciplina, non necessariamente va d’ac­cordo con la realtà dei fatti.

Ad esempio, proprio per i mec­canismi fisiologici che sono con­nessi a questa età, sono senz’altro da preferire le attività senza contatto, escludendo dun­que calcio, calcio a 5 e basket, che sottopongono l’organismo a sollecitazioni strutturali intense, coinvolgendo in maniera esa­sperata l’apparato osteo-mu­scolo-articolare. Non bisogna trascurare a questo proposito un fattore molto impor­tante, la perdita della forza che si accentua a partire dai 60 anni, legata anche alla diminuzione di ormoni circolanti ed alla man­canza di stimoli adeguati a so­stenere un adeguato tono muscolare.

Inoltre l’uomo, essendo un bi­pede, nel corso della sua vita tende progressivamente ad in­curvarsi, anche a causa della perdita di forza muscolare (sar­copenia) che aumenta con gli anni e va combattuta con stimoli allenanti, cioè adeguati per ca­rico, recupero e successione. Questo incoraggia, a nostro av­viso, l’uso di sovraccarichi mo­desti (esercizi coi pesi), ma adeguati, per l’appunto, da utiliz­zare nella vita quotidiana e in quella sportiva. Nel soggetto al di sopra dei 50 anni le patologie più pericolose ri­guardano l’apparato cardiovasco­lare, in particolare la cardiopatia ischemica e l’ipertensione arte­riosa, che aumentano con l’età.

Quindi la prescrizione dell’attività fisica di tipo ludico rappresenta si­curamente un importante mezzo di prevenzione sociale e sanitaria, in cui non è importante tanto il rag­giungimento di prestazioni spor­tive elevate quanto il mantenimento di una condizione fisica ottimale, compatibilmente con età e stato di salute.