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Boxe: un rischio per il cervello

Circa il 20% dei pugili professionisti sviluppa almeno una delle malattie neuropsichiatriche. A stabilirlo è una recente ricerca tedesca effettuata presso l’Università di Monaco di Baviera. Ma quali sono le complicanze acute e tardive che possono aspettarsi i pugili durante tutto il corso della loro carriera? Questa è la domanda studiata da Hans Förstl della Technical University e dai suoi co-autori, le cui conclusioni sono state pubblicate sul Deutsches Ärzteblatt International.

La loro valutazione dei maggiori studi sul tema della salute nei pugili negli ultimi 10 anni ha prodotto i seguenti risultati: la conseguenza più rilevante è il knock-out (o K.O.), che è conforme alle regole dello sport e che, in termini neuropsichiatrici, corrisponde alla concussione cerebrale. Inoltre, i pugili sono a rischio sostanziale di contrarre delle lesioni gravi alla testa, cuore e allo scheletro, come conseguenze subacute rilevate in seguito ad alcuni sintomi persistenti accusati dopo i combattimenti come mal di testa, problemi di udito, nausea, andatura instabile e perdita di memoria. I deficit cognitivi dopo un trauma craniocerebrale sono misurabili se i sintomi persistono più a lungo nella percezione soggettiva dell’individuo.

Alcuni, circa il 10-20% dei pugili, sviluppava un persistente deficit neuropsichiatrico. Il trauma cerebrale ripetuto in una lunga carriera da pugile può portare alla demenza del pugile (riconosciuta come una vera e propria condizione come demenza pugilistica), che è neurobiologicamente simile al morbo di Alzheimer.

Per quanto riguarda i rischi per la salute, una netta differenza esiste tra i professionisti e i dilettanti della boxe. I pugili dilettanti sono esaminati regolarmente ogni anno e prima degli incontri di pugilato, mentre i professionisti si sottopongono ai loro incontri senza tali misure di protezione. In considerazione del rischio che le lesioni possono derivare in caso di alterazione delle prestazioni cerebrali, a breve o lungo termine, sarebbe opportuno prendere alcune misure precauzionali anche in ambito professionale, concludono i ricercatori.

[Fonte: Sciencedaily]