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Tumore lobulare seno, nel dna la causa delle recidive

Il tumore lobulare al seno è ancora poco studiato nonostante colpisca tra il 10 e il 15% delle donne che si trovano costrette a combattere con questa forma di cancro. Di recente però nuovi studi scientifici hanno compiuto importanti passi avanti ed ecco che un nuovo approccio è stato messo a punto, basandosi su alcune mutazioni di specifici geni nei tumori lobulari tramite l’utilizzo di nuove tecnologie di sequenziamento del DNA. Proprio nel dna, ci sarebbe la causa delle recidive.

La particolarità del tumore lobulare al seno, rispetto al duttale per esempio, è che tende a recidivare più lentamente. Fino ad oggi però questo tipo di cancro è stato trattato nello stesso modo degli altri tipi di tumori al seno. Lo studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Jules Bordet di Bruxelles porta a nuovi scenari lasciando dunque intendere che il cancro al seno con istologia lobulare debba essere approcciato in modo differente.

Al centro dello studio, condotto in collaborazione con il Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, l’Istituto Europeo di Oncologia, l’Istituto Nazionale dei Tumori e l’Università Statale di Milano, ha studiato un campione di seicento donne affette da questo tipo di cancro arrivando ad affermare che l’identificazione di queste specifiche anomalie genomiche nel cancro lobulare potrebbe migliorare la gestione terapeutica delle pazienti. Lo studio ha infatti evidenziato che nelle donne affette da tumore lobulare al seno le alterazioni nel gene per il recettore degli estrogeni o nei geni coinvolti nella sua regolazione si presentano in misura maggiore rispetto ai tumori duttali. Un aspetto quindi assolutamente da non sottovalutare per un corretto approccio alla malattia. La presenza di queste specifiche mutazioni, infatti, potrebbe avere una causa ben precisa, associata alla risposta o resistenza a differenti terapie ormonali, e sarebbe quindi in grado di influenzare la scelta della terapia.

Ma non solo, perché lo studio condotto ha anche messo in luce un altro importante aspetto: ha individuato cioè una serie di mutazioni ricorrenti nei geni HER2 e HER3 che sarebbero associate a un rischio maggiore di ricaduta a breve termine.

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