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Test per svelare l’abuso di alcol in gravidanza

Anche in Italia è disponibile un nuovo test che svela se una neomamma ha fatto abuso di alcol durante la gravidanza. Si tratta di un marcatore che permette di stabilire, attraverso la misurazione degli esteri etilici degli acidi grassi (FAEE) presenti nel meconio del bambino, se c’è stata un’esposizione all’alcol durante il secondo e terzo trimestre del periodo gestazionale.

Lo studio in Italia è stato esteso anche ad un altro biomarcatore, denominato ETG o Ethylglucuronide, che ha permesso di stabilire come l’esposizione fetale all’alcol sia purtroppo un fenomeno più diffuso di quello che si crede e per questo sottostimato.

Come spiega Simona Pichini, scienziata senior presso l’Istituto Superiore di Sanità a Roma:

Quando l’alcol consumato dalla madre raggiunge il feto, forma FAEE. Questi composti, insieme all’ethylglucuronide (ETG), si accumulano dal feto nel meconio, che si compone di liquido amniotico, nel tratto intestinale così come altri posti nel corso degli ultimi due trimestri di gestazione. Il meconio viene espulso entro le prime 24 a 48 ore dopo il parto e può essere esaminato per trovare tutte le tossine accumulate compresi gli xenobiotici dal feto.

Fino ad oggi il test FAEE del mecomio era considerato lo strumento più affidabile per stimare l’incidenza e la prevalenza del disturbo dello spettro fetale alcolico, abbreviato con la sigla FADS. Per la prima volta il gruppo di ricercatori italiani hanno sperimentato i due biomarcatori per stabilire l’esposizione prenatale all’alcol, distinguendo l’abuso dall’uso occasionale.

Come fa notare la dottoressa Pichini:

Questa è la prima volta in cui è stata misurata l’esposizione del feto all’alcol materno in sette città in tutta la penisola italiana. Abbiamo trovato una prevalenza generale del 7,9 percento dei neonati italiani esposti all’alcol materno, con una grande variabilità nella prevalenza di esposizione del feto in diverse città italiane, che vanno da zero percento a Verona al 29,4 percento nella capitale. In ogni caso, questa esposizione è sottovalutata o errata. La variabilità che abbiamo trovato potrebbe essere causa di molti fattori: il diverso status socio-economico della madre e dei bambini, campagne di informazione diverse e politiche sanitarie nelle sette regioni in cui si trovavano le città e i loro reparti di neonatologia, e diverse percentuali di madri straniere.

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