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Alzheimer, come si formano le placche beta-amiloidi

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa priva di cura al momento causata dalla formazione di placche beta-amiloidi nel cervello. Uno studio italiano è riuscito a scoprire come avviene la loro creazione.

E’ la prima volta che il meccanismo che da vita alla malattia d’Alzheimer viene osservato e studiato da vicino. A fare questa grandiosa scoperta ci hanno pensato gli scienziati dell’Istituto europeo per la ricerca sul cervello fondato dal premio Nobel Rita Levi Montalcini: ciò che hanno osservato è stato riportato fedelmente e pubblicato sulla rivista di settore Nature Communication.

Lo studio è stato condotto su modello animale ed è stato in grado di individuare su una cellula cerebrale di criceto il punto nel quale si formano le proteine beta-amiloidi che danno origine alla malattia. Esse sono composte da oligomeri, piccoli frammenti di Dna che si combinano insieme dando origine alle placche che affliggono il nostro encefalo. L’essere riusciti ad osservare in laboratorio questo processo ha concesso ai ricercatori di ideare uno strumento in grado di “bloccare” questo processo. Come ha sottolineato il neurobiologo Antonino Cattaneo che ha condotto la ricerca:

[I risultati ottenuti consentono di individuare] un target nel trattamento dell’Alzheimer e consentono di prospettare una strategia sperimentale dal forte potenziale terapeutico.

In pratica, quello che gli scienziati vogliono fare è fermare il crearsi delle placche alla base, evitando che le molecole che compongono la proteina beta-amiloide escano fuori dalle cellule e si uniscano per formarla. In realtà lo strumento per raggiungere questo scopo potrebbe già esistere. I ricercatori vorrebbero infatti utilizzare delle “sonde molecolari” che agirebbero come dei proiettili contro le molecole interessate, uccidendo solo quelle tossiche. La buona notizia è che queste “sonde” sono già stata emesse a punto, formate da anticorpi attivi creati all’interno delle cellule. I primi test in vitro sembrano aver già dato buoni risultati. Non resta altro che attendere che gli studi in tal senso proseguano.

Fonte | Nature Communication

Photo Credit | Thinkstock