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Celiachia e “gluten sensibility”: dire no alle autodiagnosi

 Per celiachia si intende l’intolleranza al glutine, una proteina contenuta nelle farine di frumento e nei suoi sottoprodotti. Si parla di una patologia autoimmune che deve essere distinta dalla “gluten sensitvity”, malattia anch’essa causata da questa proteina ma di recente codificazione. Dalla sua scoperta molte persone in seguito ad una autodiagnosi hanno smesso di assumere alimenti contenti questo protide, causando dei danni più seri al proprio organismo.

In molte zone del mondo mangiare “gluten free” sembra essere diventata una vera e propria moda.  Non solo costosa, ma essenzialmente deleteria per l’organismo. In molti si sono convinti di soffrire di gluten sensitivity senza avere effettuato le analisi necessarie alla sua rilevazione ed hanno iniziato a mangiare cibi privi di glutine. Con danni ingenti per il portafoglio e per la salute. A sottolinearlo ci ha pensato il dott. Gino Roberto Corazza, uno dei maggiori esperti mondiali di celiachia e direttore della prima Clinica Medica della Fondazione Irccs San Matteo di Pavia attraverso un articolo pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine.

Lo scienziato punta il dito su queste autodiagnosi “incerte” effettuate dai pazienti sottolineando come i numeri siano ancora da verificare ed evidenziando come chi si “autoprescrive” degli alimenti privi di glutine rischia di mettere a rischio il proprio benessere. Il medico punta il dito soprattutto contro le stime riportate dai media, che vorrebbero il 6% della popolazione mondiale affetto da questa nuova patologia.

Questi dati e queste affermazioni sono senza basi scientifiche comprovate e sicure. Le indagini epidemiologiche non sono state ancora fatte e quindi parliamo d’aria mentre si rischia di alimentare una isteria di massa.

Secondo il dott. Corazza non bisogna né sopravvalutare né sottovalutare il fenomeno e con esso la malattia. Il mangiare senza glutine senza prima aver effettuato i necessari test presso centri specializzati, può portare non solo a sindromi dai malassorbimento e carenze diffuse ma anche alla non tracciabilità della malattia ed a gravi conseguente come artriti, tiroiditi, diabete, osteoporosi e cancro intestinale. Apportando quindi “problemi” in grado di provocare mortalità.

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Fonte: Annals of Internal Medicine