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Amniocentesi, meno aborti con antibiotici

 Amniocentesi:  antibiotici come salva bebè al fine di ridurre gli aborti che potrebbero susseguire a tale esame.

E’ questo il risultato finale dell’Apga Trial, uno dei più grandi studi italiani messi in atto a tal riguardo. E che oggi, ad un anno di distanza dalla sua conclusione conferma la validità dei propri assunti.

L’amniocentesi è un esame prenatale molto particolare, non solo per la sua esecuzione, ma per ciò che permette di scoprire sull’identità del nascituro. Essa consiste nel prelievo, a partire dalla 16esima settimana di gravidanza, di una piccola quantità di liquido amniotico, il fluido che protegge ed avvolge il feto all’interno dell’utero nel corso della gestazione. Al suo interno è possibile riscontrare le cellule cutanee del bambino  dando modo di effettuare importanti test genetici. Si tratta di un test indolore, ma per la probabilità, seppur minima, di complicanze per il nascituro e per la madre, viene riservata solamente alle pazienti gravide di età superiore ai 35 anni, a gestanti con casi di altri nascituri o membri della famiglia affetti da anomalie cromosomiche.

Tornando allo studio, come spiegato recentemente dal dott. Paolo Scollo, direttore dell’Unità di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania, l’uso di farmaci antibiotici ha permesso di abbattere notevolmente le probabilità di conseguenze nefaste per il feto o per la madre,  portandole ad un decremento del 50% , sotto la soglia dell’1% di probabilità.

Nei reparti di ostetricia il numero di donne ricoverate per complicanze dell’amniocentesi si è nel corso degli anni notevolmente ridotto . In passato il rischio di aborto era dell’1% ed è sceso progressivamente allo 0,3-0,5%, da un aborto su cento si è cioè passati a meno di un aborto su mille.

Nello specifico l’assunzione di antibiotici prima di effettuare l’amniocentesi è volta a contrastare i batteri che naturalmente colonizzano i genitali femminili e che continuano a farlo in gravidanza. Con l’occasione del prelievo gli stessi potrebbero riuscire ad infettare il liquido amniotico, causando la rottura del sacco. A dispetto infatti di ciò che si crede popolarmente, non è la puntura di per se stessa a causare la rottura, ma l’infezione che potrebbe scatenarsi al suo seguito. Ovviamente principio attivo e dosi vengono scelte con cura.

Il principio attivo si accumula prevalentemente nelle membrane amniotiche e da qui, non essendo in grado di superare la barriera della placenta arriva in bassissime quantità al feto, tali da non presentare controindicazioni alla profilassi.

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Fonte: Corriere della sera