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Test da fare in gravidanza

I medici la chiamano diagnosi prenatale, sono tutti gli esami che possono essere effettuati nel corso della gravidanza per va­lutare lo stato di salute e l’accre­scimento del feto e per indagare l’eventuale presenza di condizioni patologiche, così da programma­re gli opportuni interventi tera­peutici, quando possibili, e infor­mare i genitori della probabilità che il loro bambino sia affetto da una malattia congenita. Con i test diagnostici disponibili possono essere identificate le principali alterazioni dello sviluppo embrionale (malformazioni dello scheletro o degli organi) e molte delle malattie che hanno una causa genetica conosciuta (sindrome di Down e altre ano­malie cromosomiche, fibrosi cisti­ca, talassemia, anemia falciforme, distrofia muscolare, emofilia, sin­drome dell’X fragile).

Alcuni esami, che non comporta­no alcun pericolo per la gestazio­ne e per la salute del nascituro, fanno ormai parte dello screening di routine; altri, più invasivi e rischiosi, vengono effettuati soltan­to quando la probabilità che il feto abbia una patologia congeni­ta è più alta del normale. Per esempio, se nei familiari sono pre­senti alterazioni genetiche eredi­tarie o se questi appartengono a popolazioni nelle quali sono molto frequenti alcune malattie genetiche (per esempio la malat­tia di Tay-Sachs tra gli ebrei aske­nazi o la talassemia nei Paesi del Mediterraneo). In questi casi, indagini specifiche possono essere effettuate nei futuri genitori anche prima del concepimento, così da orientare la diagnosi pre­natale successiva verso i test più appropriati.

Una consulenza ge­netica preconcezionale può essere indicata anche nelle coppie che abbiano avuto più aborti sponta­nei successivi. I test di screening utilizzano il ri­levamento di alcune particolari ca­ratteristiche strutturali del feto con l’ecografia e il dosaggio con serie di marcatori presenti nel sangue materno, combinati tra loro. L’ecografia può essere effettuata in vari periodi della gravidanza per scopi diversi. In condizioni normali viene eseguita tre volte: nel I tri­mestre (tra la 10a e la 13a setti­mana), nel Il (tra la 18a e la 22a settimana) e nel III (tra la 32a e la 34a settimana).

L’ecografia del primo trimestre serve per verificare:

  •  la vitalità dell’embrione;
  • l’esatta epoca gestazionale;
  • il numero dei feti in caso di gra­vidanza gemellare;
  • le malformazioni fetali che si manifestano precocemente;
  • quando la posizione del feto lo permette, la misurazione della translucenza nucale.

La translucenza nucale corri­sponde allo spessore della regione posteriore del collo del feto com­presa tra la cute e la colonna ver­tebrale. Fornisce un precoce indi­zio (mai una certezza) di un’ano­malia cromosomica. L’ecografia del secondo trime­stre è la più affidabile per diagno­sticare la presenza di molte (anche se non tutte) malformazioni con­genite, poiché in questo periodo  viene per lo più effettua­ta, in vista del parto, per verificare l’accrescimento del feto e la sua posizione nell’utero, controllare le condizioni della placenta, valutare la quantità di liquido amniotico.

I marcatori rilevabili nel san­gue materno sono la gonado­tropina corionica umana (hCG), la proteina plasmatica A associata alla gravidanza (PAPP-A), l’alfafe­toproteina (AFP), l’estriolo non co­niugato (uE3), l’inibina A. Altera­zioni dei livelli ematici di queste sostanze possono suggerire la presenza di alcune malformazioni e anomalie genetiche. Questi esami vengono solitamen­te abbinati tra loro in combinazio­ni variabili a seconda dell’epoca della gestazione. La combinazione più raccomandata, per efficacia e sicurezza, è il cosiddetto test in secondo trimestre.

Un’altra combinazione, riservata al primo trimestre, è il test com­binato, che include la misurazio­ne della NT e il dosaggio di hCG e PAPP-A. Infine, le combinazioni eseguibili nel secondo trimestre sono: il doppio test, che comprende hCG e PAPP-A; il triplo test, che ai dosaggi del precedente aggiun­ge quello clelNE3,- il quadruplo test che associa anche il dosaggio dell’inibina A. Nessuno dei test citati può co­munque fornire una diagnosi pre­cisa e definitiva, soprattutto per quanto riguarda le malattie di ori­gine genetica. Pertanto, qualora uno di essi dia esito positivo, il so­spetto diagnostico deve essere confermato da ulteriori esami.

 Quando la probabilità che il feto sia affetto da una malformazione o da una malattia genetica è alta o quando un test di screening ne fa sospettare la presenza, si devo­no programmare esami che ri­chiedono l’esecuzione di procedu­re più invasive: l’amniocentesi e il prelievo dei villi coriali.

L’amniocentesi consiste nell’aspi­rare 20-30 millilitri del liquido con­tenuto nelle cavità in cui risiede il feto (liquido amniotico) tramite l’introduzione di un ago nell’ad­dome delle madre, sotto la guida dell’ecografia per evitare la perfo­razione della placenta o del cor­done ombelicale. Sul liquido e sulle cellule fetali in esso contenute (che si staccano spontaneamente dalla cute del piccolo) possono essere effettuate indagini di vario tipo: possono es­sere dosate sostanze che consentono di diagnosticare particolari difetti dello sviluppo (come quelli del sistema nervoso centrale) e malattie congenite del metaboli­smo, possono essere identificate le anomalie cromosomiche più comuni (come la sindrome di Down o la trisomia 18) e, attra­verso l’analisi del DNA, le princi­pali malattie ereditarie.

Il prelievo dei villi coriali (CVS) è una piccola biopsia della placenta, di cui i villi coriali fanno parte, ef­fettuata (sempre con concomitan­te controllo ecografico) o per via transaddominale, tramite inseri­mento di un ago nella parete del­l’addome materno, o per via transcervicale, introducendo un catetere nell’utero dalla vagina. Consente di ottenere all’incirca lo stesso tipo di informazioni fornite dall’amniocentesi, ma è più ido­neo quando si richiedono analisi genetiche approfondite. L’altra fondamentale differenza tra i due esami è la loro colloca­zione temporale nel corso della gravidanza: l’amniocentesi può essere eseguita in sicurezza e co­n minori inconvenienti soltanto ne secondo trimestre, tra la 15a e la 18a settimana, quando si è for­mata una quantità di liquido an­niotico sufficiente; il CVS è indica­to nel primo trimestre, tra la 10a la 12a settimana.

Entrambe le procedure comporta­no qualche rischio, anche se negli ultimi anni la percentuale di com­plicazioni si è molto ridotta gra­zie al perfezionamento delle tec­niche: la probabilità che si verifichi un aborto spontaneo aumenta di circa l’1% con l’amniocentesi e dell’1-2% con il CVS. Il rischio di indurre malformazioni nel feto è invece legato all’esecuzione di questi esami in epoca troppo pre­coce, cioè nel primo trimestre per l’amniocentesi e prima della 10a settimana per il CVS. Nella maggior parte dei casi, gli effetti collaterali più comuni sono un modesto sanguinamento vagi­nale o la perdita di piccole quanti­tà di liquido amniotico, che in ge­nere cessano spontaneamente in pochi giorni.

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